Quali saranno le cyber minacce per le aziende nel 2023?

Quali saranno le minacce più rilevanti per grandi aziende e PA nel 2023? Rispondono gli esperti di Kaspersky Security Services, che nell’ambito del Security Bulletin hanno delineato le previsioni relative agli attacchi più rilevanti. Nel 2022 è cresciuto il numero di media blackmail: all’inizio del 2021 gli esperti contavano 200-300 post mensili, mentre il picco massimo, verificatosi più volte tra la fine del 2021 e la prima metà dell’anno passato, ha superato i 500 post mensili. Gli autori di ransomware pubblicano infatti sempre più spesso post dedicati a nuovi episodi di hacking di successo eseguiti ai danni delle aziende. E i cyber criminali sono stati attivi anche alla fine del 2022. A settembre e novembre la Digital Footprint Intelligence di Kaspersky ha rilevato rispettivamente circa 400 e 500 post. 

Aumentano i falsi blog post sull’estorsione

I criminali informatici prima contattavano direttamente la vittima, ora invece comunicano la violazione direttamente attraverso i loro blog, impostando un conto alla rovescia per la pubblicazione dei dati trapelati senza chiedere privatamente un riscatto. Questo dark trend continuerà ad aumentare nel 2023 perché questa tattica avvantaggia i criminali informatici. I dati, infatti, vengono spesso messi all’asta e l’offerta finale a volte supera il riscatto richiesto. I blog post sull’estorsione attirano poi l’attenzione dei media, e nel 2023 alcuni attori meno noti potrebbero approfittarne, sostenendo di aver presumibilmente violato un’azienda. Ma indipendentemente dal fatto che l’hacking sia realmente avvenuto o meno, una segnalazione di fuga di notizie potrebbe danneggiare l’azienda.

Fuga di dati: un trend in crescita

Gli esperti prevedono che la tendenza alla fuga di dati personali continuerà anche nel 2023. Nonostante la fuga di dati personali influisca direttamente sulla privacy delle persone, anche la cybersecurity aziendale è messa a rischio. Spesso infatti i dipendenti utilizzano gli indirizzi e-mail lavorativi anche per registrarsi a siti di terze parti, che possono essere esposti a fughe di dati.
Quando le informazioni sensibili come gli indirizzi e-mail diventano pubblicamente accessibili possono suscitare l’interesse dei criminali informatici, e innescare discussioni su potenziali attacchi all’azienda su siti web darknet. Inoltre, i dati possono essere utilizzati per il phishing e il social engineering.

Cloud nel mirino e Malware-as-a-service per attacchi sempre più complessi

Gli esperti prevedono inoltre che gli attacchi ransomware diventeranno sempre più simili tra loro, a causa dell’aumento degli strumenti malware-as-a-service (MaaS). La complessità degli attacchi aumenterà, il che significa che i sistemi automatizzati non saranno sufficienti a garantire una sicurezza completa. Inoltre, la tecnologia cloud diventerà un vettore di attacco popolare, poiché la digitalizzazione porta con sé maggiori rischi per la cybersecurity. E nel 2023 i criminali informatici ricorreranno più spesso ai siti dark web per acquistare l’accesso a organizzazioni precedentemente compromesse.

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Energia, che potenzialità ha l’Italia?

In tempi difficili come lo sono quelli che stiamo vivendo, poter raggiungere la massima indipendenza sotto il profilo energetico è fondamentale. A questo proposito, come si colloca l’Italia? Qual è il bilancio energetico del nostro paese, attuale e in prospettiva? Per saperne di più in merito, Eurispes ha realizzato una ricerca specifica che analizza il bilancio energetico italiano. Dopo l’analisi delle diverse fonti di approvvigionamento (interne ed estere), dei livelli di consumi e delle differenti forme di produzione presenti sul territorio italiano, lo studio evidenzia come il paese sia ancora fortemente dipendente dall’estero. Questo perchè la disponibilità energetica lorda, un indicatore del grado di dipendenza del paese dall’estero, è aumentata passando dal 73,5% del 2020 al 74,9% del 2021. Si conferma inoltre il ruolo predominate giocato dai combustibili fossili, in particolare gas e petrolio, che nel 2021 hanno rappresentato oltre il 73% della disponibilità energetica nazionale (rispettivamente il 40,9% e il 32,9%). 

Quali sono le prospettive future?

Per comprendere quali possano essere le prospettive di sviluppo futuro del settore energetico in Italia, la ricerca prova a delineare l’impatto che determinate politiche potrebbero avere sia nel favorire il processo di decarbonizzazione della nostra economia, sia nel ridurre la dipendenza energetica dall’estero e, dunque, l’esposizione del nostro Paese a futuri shock energetici come quello a cui stiamo assistendo negli ultimi mesi a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. In relazione ai processi di decarbonizzazione del nostro sistema economico occorre sottolineare come in Italia, nel 2020, la quota di rinnovabili nel consumo finale di energia abbia raggiunto il 20,4%, rispetto ad un obiettivo del 17%. Particolarmente positivi sono stati i risultati raggiunti nella produzione di energia elettrica dato che il 38% dell’energia elettrica prodotta in Italia nel 2020 derivava da fonti rinnovabili. Quasi il 50% in più dell’obiettivo del 26% dichiarato per il 2020.

Debolezze storiche

Dall’indagine emerge come il settore dell’energia in Italia presenti ancora una serie di debolezze storiche. Pur essendo l’Italia il Paese con il maggior potenziale di produzione di energia rinnovabile in Europa dopo la Francia, esistono una molteplicità di impedimenti burocratici e di vincoli legislativi che limitano fortemente il raggiungimento del nostro pieno potenziale. A ciò vanno aggiunte le difficoltà legate alla realizzazione di nuove opere, troppo spesso bloccate da piccoli, ma incisivi, gruppi d’interesse e da una politica più attenta ai sentimenti dell’opinione pubblica invece di concentrarsi su di una programmazione strategica di medio-lungo periodo. 

E’ il momento di accelerare

In conclusione, se da un lato l’Italia ha la necessità di far fronte alle contingenze di breve periodo legate all’aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia, dall’altro deve sfruttare la congiuntura favorevole per accelerare il più possibile il processo di decarbonizzazione della nostra economia. L’aumento dei prezzi delle fonti energetiche non rinnovabili, i finanziamenti europei legati al piano REPowerEU e i fondi del Recovery Plan stanno creando le condizioni perfette per lo sviluppo e la costruzione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili. Tuttavia, affinché ciò venga realizzato non bastano finanziamenti e progetti; servono una classe politica dotata di visione strategica e un apparato burocratico funzionante in grado di sostenere la realizzazione e l’implementazione di progetti.

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A Natale 2022 con crisi e inflazione meno regali sotto l’albero

Secondo l’indagine sui consumi di Natale realizzata da Confcommercio in collaborazione con Format Research, nel 2022 tre italiani su quattro hanno fatto i regali di Natale, ma il 27,3% non ha acquistato nulla. In primo luogo per risparmiare, poi per il peggioramento della propria condizione economica, oppure per l’aumento dei prezzi a causa dell’inflazione. Insomma, anche il Natale 2022 è come gli ultimi due ‘figlio’ di una situazione eccezionale. Se nel caso del Natale 2020 e di quello 2021 il Covid aveva fortemente condizionato l’andamento dei regali, quest’anno a pesare in modo decisivo sono l’aumento dell’inflazione e la crisi energetica. 

I più regalati: prodotti enogastronomici, giocattoli, libri

In ogni caso, in cima alla lista dei regali più diffusi si confermano i prodotti enogastronomici (70%), seguiti da giocattoli (49%), libri ed ebook (48%), abbigliamento (47%), e prodotti per la cura della persona (41%). Ma tra i regali che registrano l’incremento maggiore rispetto all’anno scorso si segnalano i prodotti per animali (+8,4%), e per chi ha scelto di acquistare online i regali si confermano in cima alla lista anche quest’anno carte regalo (77,8%) e abbonamenti streaming (76,4%). E al di là dei regali rivolti al proprio nucleo familiare, il 50,3% degli italiani ha fatto regali ad amici e conoscenti, e ad acquistarli sono stati prevalentemente i coniugi in coppia.

Budget di spesa: per un italiano su tre non supera 100 euro

Quanto al budget di spesa stanziato per gli acquisti, il 64% ha speso tra 100 e 300 euro, mentre 1 consumatore su 3 non ha superato i 100 euro. Della tredicesima, comunque, solo una piccola parte è stata destinata ai regali, mentre il ‘grosso’ se n’è andato per spese per la casa, tasse e bollette. Tra coloro che percepiscono la tredicesima, quasi un terzo infatti l’ha usata per affrontare spese per la casa e la famiglia, il 24% la metterà da parte, il 19,2% la userà per pagare tasse e bollette, e solo il 14,5% l’ha utilizzata per acquistare i regali di Natale.

Canali di acquisto: Internet ancora al top, ma salgono i negozi di vicinato 

Tra i canali di acquisto preferiti, Internet si conferma al primo posto (64,6%), anche se in calo per la prima volta dal 2009, mentre salgono le preferenze per i negozi di vicinato. Internet, dopo il boom dello scorso anno, quest’anno infatti rallenta, confermandosi comunque il canale di acquisto principale per i regali di Natale. Seguono la distribuzione organizzata (56,7%), gli outlet e i punti vendita del commercio equo-solidale Aumentano poi gli acquisti presso i negozi di vicinato, passati dal 42,5% al 45%, segno che gli italiani stanno riscoprendo il piacere di vivere il proprio quartiere e le vie dello shopping.

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Il 70,8% degli italiani possiede una casa

L’Italia è uno dei Paesi con il più alto numero di proprietari di abitazioni. Il 70,8% delle famiglie italiane è infatti proprietario della casa in cui vive, e il 28,0% possiede altri immobili. Ma la proprietà non è prerogativa solo dei benestanti: tra le famiglie più povere il 55,1% è proprietario dell’abitazione in cui vive, e la percentuale aumenta fino all’83,9% tra i più abbienti. La percentuale di famiglie proprietarie è più elevata tra le coppie con figli (73,9%) e tra i residenti nelle piccole città: 76,1% nei comuni fino a 2.000 abitanti, e 74,3% in quelli tra 2.000 e 10.000 abitanti.
Sono alcuni dati emersi dal 1° Rapporto Federproprietà-Censis, Gli italiani e la casa, realizzato con il contributo della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) e in collaborazione con Cassa Depositi e Prestiti (Cdp).

Bene rifugio e specchio della propria identità

Per il 91,9% degli italiani la casa è un rifugio sicuro, soprattutto dopo il Covid, e l’89,7% è tranquillizzato dall’essere proprietario della propria abitazione. Per l’83,1% la casa riflette anche la propria identità e personalità, e il 54,5% vorrebbe aiutare figli o nipoti ad acquistare la prima casa, perché l’immobile di proprietà resta la pietra angolare della sicurezza economica ed esistenziale.
La pandemia ha poi contribuito a rendere multifunzionali le abitazioni, e se il 47,1% degli italiani lavora ancora da remoto il 96,3% degli studenti è attrezzato per seguire le lezioni in Dad. In casa gli italiani fanno anche sport (43,7%), cucinano (89,3% e coltivano parte delle relazioni sociali (84,5%). Al 17,7% poi capita di curarsi in casa o ricevere assistenza a domicilio.

Il comfort abitativo

Per l’87,2% degli italiani gli spazi della propria abitazione sono adeguati, e la casa è confortevole. Il 29,5% ha apportato cambiamenti importanti a seguito alla pandemia per adeguare gli spazi alle nuove esigenze. Cresce anche l’attenzione per la salubrità degli ambienti e la sostenibilità della casa: l’88,9% la ritiene salubre, e l’84,4% è pronto a renderla più sostenibile attraverso il controllo dei consumi energetici. Il 51,7% dei proprietari è inoltre convinto che il valore della propria abitazione non sia aumentato negli ultimi dieci anni. In effetti, tra il 2010 e il 2019 i prezzi degli immobili residenziali in Italia sono diminuiti del 16,6% per poi registrare un +4,6% tra il 2019-2021 e un +5,2% nel secondo trimestre del 2022.

Disagio abitativo e housing sociale

Sono però fortemente aumentati i costi legati alla casa. Per il 76,5% degli italiani tali costi pesano molto sul budget familiare, e per il 71,7% le tasse relative alla proprietà sono troppo alte. Il 5,9% degli italiani però vive in condizione di deprivazione abitativa. A questo si aggiunge il disagio degli studenti fuori sede. Una soluzione innovativa è l’housing sociale, avviato dal Piano nazionale di edilizia abitativa, che prevede un sistema integrato di fondi immobiliari con al centro il Fondo Investimenti per l’Abitare gestito da Cdp Immobiliare Sgr.

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Wellbeing: un’impresa su 3 cura il welfare

La scelta dei benefit aziendali è sempre più vasta: non soltanto buoni pasto, abbonamenti per i trasporti pubblici e assicurazioni sanitarie, ma anche massaggi, frutta e verdura gratis, corsi di fitness, tornei di calcio internazionali e iniziative per acquisire o migliorare le competenze professionali, a cominciare da quelle linguistiche. Secondo l’indagine internazionale Disconnect to Reconnect di Adecco, per il 73% delle aziende il wellbeing dei dipendenti è diventato molto importante per migliorare tasso di engagement (39%) e soddisfazione (24%). Un dato confermato dal Future Workplace 2021 HR Sentiment Survey condotto da Forbes, che rivela come il 68% dei responsabili hr senior consideri il benessere psicofisico del personale una delle massime priorità.

La pandemia ha riportato al centro i lavoratori

Il cambiamento in atto è fotografato dal Welfare Index Pmi 2021, il report annuale sul welfare nelle Pmi italiane condotto da Innovation Team, che rivela come dal 2016 al 2021 le aziende con un livello di welfare elevato siano aumentate in modo significativo, passando dal 9,7% al 21%, e quelle con un welfare di base siano scese invece dal 49,3% al 35,8%.
Catalizzatrice indiscussa del processo è stata la pandemia, che ha riportato al centro i lavoratori come persone, dando un ruolo di primo piano alle loro esigenze individuali.

Benessere del personale e qualità delle performance aziendali sono correlati

Come spiega Randstad, il grado di benessere del personale e la qualità delle performance aziendali sono profondamente correlati. La creazione di un buon ambiente di lavoro e di un equilibrio tra lavoro e vita privata riducono i tassi di assenteismo incentivando la produttività e l’engagement dei team, e una maggiore soddisfazione dei lavoratori produce fidelizzazione, e dunque una minore rotazione del personale. Questo, si traduce in un vantaggio economico, dal momento che investire su dipendenti già assunti ha un costo inferiore rispetto a formare nuove risorse. Inoltre, l’appagamento dei dipendenti favorisce una buona reputazione aziendale, con maggiori possibilità di attrarre nuovi talenti.

Ma due terzi delle aziende offre solo orari e sedi di lavoro flessibili 

Quando le politiche di welfare sono calibrate sui bisogni dei dipendenti i risultati non tardano ad arrivare. Lo dimostra il Welfare Index Pmi 2021: le società che utilizzano il welfare come leva strategica hanno avuto un ritorno in termini di produttività, soddisfazione e fidelizzazione della forza lavoro. Eppure, gli studi concentrati sul wellbeing e sui suoi effetti positivi sui bilanci aziendali si scontrano con un dato di segno opposto. 
Adecco, riporta Adnkronos, rivela infatti che solo un 1/3 delle aziende mette in atto iniziative che vanno oltre l’offerta di orari e sedi di lavoro flessibili. Questo spiegherebbe perché il 45% dei dipendenti (60% in Italia) ritiene che la propria società non fornisca un supporto in termini di benessere.

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Milano traina gli aumenti congiunturali dell’industria 

Milano si conferma la “locomotiva” economica della Lombardia, ma Monza Brianza e Lodi seguono a ruota. Sono infatti tutti in positivo i dati emersi dall’analisi congiunturale dell’industria relativa al terzo trimestre 2022, appena presentata dalla Camera di Commercio. Per quanto riguarda il capoluogo, gli indicatori sono nel segno dell’ottimismo e della dinamicità. Il quadro delinea nel terzo trimestre 2022 un aumento congiunturale rispetto al secondo trimestre 2022 della produzione industriale e del fatturato milanese (+1,3% e +3,5% destagionalizzato). Addirittura, nell’area metropolitana di Milano la crescita di fatturato è maggiore rispetto al dato lombardo (i due dati regionali sono rispettivamente +0,4% e +2,6% destagionalizzato). Per gli ordini interni la progressione congiunturale è ancora più marcata per l’industria milanese rispetto alla manifattura lombarda (rispettivamente +4,7% e +1,3% destagionalizzato), allo stesso modo degli ordini esteri per cui la performance milanese è migliore (+6,9% e +1,5% destagionalizzato). Passando all’analisi tendenziale, il terzo trimestre 2022 ha consentito all’area metropolitana milanese in un anno di crescere del 6,1% per la produzione, più del dato lombardo (+4,8% in un anno). Se si considera la crescita netta del fatturato, sempre raffrontata al terzo trimestre 2021, l’aumento è del 14,5% a livello locale e 13,5% a livello regionale. In relazione al portafoglio ordini, si registra un livello superiore a quello relativo al terzo trimestre 2021 (+10% in un anno), con performance migliore rispetto alla manifattura lombarda (+6,6%). 

Monza e Brianza, aumentano sia la produzione industriale sia il fatturato

Buone, anzi ottime notizie anche il quel di Monza e Brianza. Il terzo trimestre 2022 fa registrare un aumento rispetto al secondo trimestre 2022 sia della produzione industriale (+1,7% destagionalizzato), sia del fatturato (+2% destagionalizzato), così come le commesse acquisite dai mercati interni (+1,6% destagionalizzato) ed esteri con +2,7%. La crescita tendenziale della capacità produttiva colloca i volumi prodotti a un livello superiore rispetto al terzo trimestre 2021 (+7,4%), superiore rispetto al dato lombardo (+4,8%). Nello stesso periodo, i dati della manifattura brianzola per fatturato (+12,5%) sono inferiori al dato lombardo (+13,5%). Sempre rispetto al terzo trimestre 2021, il portafoglio ordini del manifatturiero brianzolo evidenzia un incremento reale superiore a quanto registrato in Lombardia (rispettivamente +11,2% e +6,6%): si tratta di un dato particolarmente incoraggiante.

Lodi, in crescita soprattutto le commesse interne 

Per quanto concerne Lodi, continua la crescita congiunturale ance nel periodo in esame grazie a un aumento rispetto al secondo trimestre 2022 della produzione industriale (+0,3% destagionalizzato), accompagnato dalla crescita del fatturato (+0,4% destagionalizzato). In particolare, aumenta sensibilmente la quota delle commesse acquisite dai mercati interni (+7,8% destagionalizzato) mentre gli ordini esteri risultano in calo del -2,1%. Nel terzo trimestre 2022 rispetto all’anno precedente si verifica un trend di crescita per produzione, fatturato e ordini. Relativamente all’analisi tendenziale, raffrontato al terzo trimestre 2021, la crescita della produzione si attesta a +3,3%, performance peggiore rispetto al dato lombardo (+4,8%). In relazione al fatturato, nel confronto con il terzo trimestre 2021, il recupero si attesta a +11,5%, leggermente inferiore per intensità al dato regionale (+13,5%). 

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Cambiamento climatico: quali azioni promuovono gli italiani?

Sostenere azioni quali sussidi governativi per le tecnologie ambientali, modifica dei prezzi e incentivi per i prodotti ecologici: sono queste le azioni sulle quali l’opinione pubblica si dichiara maggiormente favorevole per contrastare il cambiamento climatico. Al contrario, le politiche riguardanti un aumento delle tasse sugli spostamenti più dannosi per l’ambiente, sui prodotti alimentari e sulle fonti non rinnovabili ricevono poco sostegno. Si tratta di alcuni risultati emersi da un sondaggio condotto da Ipsos per indagare le opinioni dei cittadini di 34 Paesi sulle politiche piper atte ad affrontare la minaccia del cambiamento climatico. La ricerca è stata svolta in occasione della COP27, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici 2022, tenutasi sotto la presidenza dell’Egitto.

Rendere più economiche le tecnologie ecologiche

Tra le azioni e le politiche maggiormente sostenute dagli italiani per affrontare il cambiamento climatico il 68% si dichiara favorevole alle sovvenzioni governative per rendere maggiormente economiche le tecnologie ecologiche rispettose dell’ambiente, come, ad esempio, pannelli solari, veicoli elettrici. Il 61% si mostra favorevole a un’eventuale modifica dei prezzi dei prodotti, al fine di rendere più economici e accessibili quelli ecologici, e più costosi quelli dannosi per l’ambiente. E se il 57% si dichiara favorevole agli incentivi per gli investimenti in prodotti e servizi ecologici, la medesima percentuale è propensa a concedere più spazio stradale a pedoni e ciclisti a scapito degli automobilisti.

Aumento delle tasse sulle fonti non rinnovabili? Piace solo al 26%

Quali sono, invece, le azioni per combattere il cambiamento climatico sostenute in misura minore dagli italiani? Il 46% degli intervistati si dichiara favorevole a sostenere il divieto di accesso ai veicoli a benzina/gas/diesel nelle aree centrali delle città e dei paesi per creare zone libere da veicoli, e il 43% è favorevole all’aumento delle tasse sui viaggi e spostamenti più dannosi per l’ambiente. L’obbligo per tutti i punti ristoro di offrire opzioni vegane è sostenuto dal 39%, e l’aumento delle tasse sui prodotti alimentari, come carne rossa e prodotti lattiero-caseari, dal 33%, mentre l’aumento delle tasse sulle fonti non rinnovabili, come ad esempio gas o petrolio, dal 26%. 

A chi spetta informare ed educare i cittadini?

Secondo gli intervistati, la responsabilità di informare ed educare il pubblico sulle azioni che dovrebbero essere intraprese in Italia per combattere il cambiamento climatico spetta, principalmente, ai dipartimenti governativi e ministri/funzionari eletti (46%), seguiti dagli enti locali (42%), i media (41%) e gli scienziati (37%). Inoltre, il 29% degli italiani sostiene che sia compito della scuola, il 16% delle aziende, il 12% degli attivisti ambientali, e soltanto per il 9% dei datori di lavoro. 

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Italiani appassioni di esports, e il mercato cresce

Ben 47 milioni di euro: a tanto ammonta il giro d’affari dei videogiochi competitivi nel nostro paese, in base agli ultimi dati rilevati nella ricerca di IIDEA e Nielsen “Landscape del settore esports in Italia”. E la crescita è ancora più evidente se si osservano le percentuali: l’aumento dell’impatto economico è superiore del 4%. L’impatto economico diretto, ossia direttamente collegato all’occupazione generata dal settore, è di circa 38 milioni di euro a fronte dei 30 della precedente analisi. Di questi, il 55% (20,9 milioni) viene generato dai team di esports, seguiti dagli organizzatori con il 22% (8,4 milioni) e dai publisher con il 5% (2 milioni). Il restante 18% (6,7 milioni), riferisce Adnkronos, viene generato da altre tipologie di società che operano nel mondo esports (es. venue dedicate, produttori hardware, sviluppatori e altre categorie non assimilabili alle precedenti). 

Quali sono i professionisti che “costano” di più?

Le principali categorie di spesa, in termini di occupazione, variano in relazione alla tipologia di entità considerata. I ruoli che all’interno del settore pesano maggiormente sul totale dei costi per il personale sostenuti sono pro-player, content creator e analyst/coach per i team, caster e commentatori, project manager e content creator per gli organizzatori e occupazioni in ambito marketing e PR per i publisher. L’impatto economico indiretto, generato da tutte le spese correlate al mondo degli esports, come i servizi ausiliari e il merchandising, è invece superiore a 10 milioni di euro. A differenza di quanto rilevato per l’impatto diretto, sono i publisher che contribuiscono maggiormente con il 64% (circa 6,9 milioni) del totale. I team generano il 19% del valore indiretto mentre gli organizers il 14%. Il rimanente 3% (348mila) è riconducibile alle restanti categorie di società operanti nel settore. Le principali categorie di spesa sono marketing, travel/accomodation, finance/legal e amministrazione per i team, HR/personale, equipment e rental, finance/legal e amministrazione per gli organizzatori e infine marketing e merchandising per i publisher.

Qual è il target di riferimento?

Il target di riferimento si caratterizza per essere giovane, ricettivo e reattivo, e le interazioni che avvengono con esso sono basate sul coinvolgimento diretto (tanto come giocatore quanto come fruitore di esperienze e contenuti e come acquirente). I fan Esports e sono un target esigente per quello che riguarda le prestazioni, le esperienze di gioco e il coinvolgimento. I risultati ottenuti tramite partnership, eventi ed experience, hanno dato agli attori coinvolti nel mondo esports una connotazione di eccellenza e un vantaggio competitivo in termini di percezione del proprio brand. Oltre ad incrementare l’awareness i brand hanno anche ottenuto buoni risultati in termini di customer acquistion nonché di networking e interazioni B2B. La partecipazione al mondo Esports sta avvenendo sia per via diretta (tramite la fornitura di prodotti dedicati) che indiretta (attraverso sponsorizzazioni o altre tipologie di investimenti).

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B2B, solo un terzo delle aziende italiane mette il cliente “al centro”

Le aziende B2C sono già da tempo orientate alla customer experience, ovvero alla soddisfazione, al rapporto e in generale a tutta l’esperienza vissuta dal cliente nella relazione con l’impresa. E in ambito B2B? Le cose sembrano andare in modo diverso, con un passo decisamente più lento. Oggi, solo il 34% delle aziende B2B italiane ha già un approccio “customer centric”, capace di creare maggiore valore, perché basato sull’ascolto e l’attenzione verso il cliente, con strategie volte a cogliere le specifiche esigenze e caratteristiche peculiari di ciascuno. Il 16% è in fase di avvicinamento verso questo modello, ma la maggior parte – il 50% – è ancora focalizzato sulla componente di prodotto/servizio offerto. Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Customer Experience nel B2B della della School of Management del Politecnico di Milano.

Alla base occorre un’organizzazione ad hoc

Il rapporto indica anche i passi necessari a costruire questa “relazione” fra azienda e cliente, anche in ambito B2B. Una strategia orientata al cliente richiede prima di tutto un’organizzazione ad hoc, che coinvolga tutti gli attori e i processi nella relazione, con iniziative o strumenti declinati per ciascuna realtà. Eppure, il 66% delle aziende italiane ha con i propri clienti un rapporto limitato a un solo scambio di informazioni di natura tecnica e/o commerciale, il 20% ha attivato una relazione strategica basata su uno scambio di dati o informazioni (dati di sell-out granulari, condivisione di liste di clienti/lead con il proprio distributore) e appena il 14% sta evolvendo verso una relazione di supporto e ascolto reciproco, lo step abilitante la costruzione di una relazione collaborativa.

Il ruolo della tecnologia

Per un modello “cliente centrico”, poi, serve un’opportuna dotazione tecnologica di piattaforme e strumenti in grado di valorizzare gli scambi informativi. Ma le imprese B2B mostrano ancora immaturità nella raccolta e poi nell’integrazione di queste informazioni, con scarsa possibilità di avere a disposizione tutti i dati relativi al cliente in un unico punto. Solo il 14% delle aziende raccoglie almeno un dato avanzato, il 56% possiede informazioni relative ai propri clienti sparse in diversi database o su Excel. E anche nei casi in cui sia presente un’architettura in grado di gestire tale integrazione (44%), le informazioni contenute sono per lo più basiche (non dati avanzati, provenienti da uno scambio evoluto con il cliente). Sono ancora sporadiche iniziative di segmentazione dei canali di contatto, creazione di strategie ad hoc per singolo cliente e mappatura dell’intera relazione cliente-fornitore. In generale, circa la metà delle aziende non ha progetti basate su un approccio data-driven.

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Dimissioni in aumento, e le aziende faticano a trattenere i talenti 

Nel primo semestre 2022 il 60,1% delle aziende italiane ha riscontrato un numero maggiore di dimissioni rispetto al 2021. Secondo i responsabili HR i motivi dell’aumento delle dimissioni sono riconducibili a diversi fattori, da un ritrovato coraggio di cambiare lavoro a una nuova consapevolezza delle priorità da parte dei professionisti (30,3%). E soprattutto da parte dei giovani, la ricerca di nuove opportunità di carriera e un miglior bilanciamento tra vita privata e professionale (29,8%).  La conferma arriva dall’indagine InfoJobs Attraction Retention, che a inizio anno segnalava come il 41,1% delle aziende indicasse nell’attrarre e trattenere i talenti la sfida più importante. In un mercato sempre più difficile, con le dimissioni in crescita e difficoltà a trovare personale qualificato, trattenere i talenti è infatti una leva chiave per la competitività.

Le aziende puntano sui pacchetti welfare

Il 30,4% delle aziende dichiara però di non intraprendere azioni concrete per trattenere i talenti, soprattutto per il fattore economico (17,9%), anche se il 69,6% dichiara di avere programmi ad hoc. Primo tra tutti (45,9%), il pacchetto welfare aziendale (formazione continua, lavoro agile, benefit e percorsi di crescita), seguito dall’impegno per un modello organizzativo più partecipativo (37,6%), percorsi di carriera chiari e concreti (33,8%), percorsi di formazione professionale (33,1%), e attività di team finalizzate alla costruzione di un clima collaborativo e di fiducia (27,1%). Secondo gli HR, per sottrarre o attirare talenti si utilizzano il fattore economico (60,2%), un migliore equilibrio vita privata-lavoro (17,2%), la possibilità di carriera (11,7%) e il caring (10,9%).

Il malcontento dei lavoratori 

Dall’indagine emerge un generale malcontento: l’80,9% dei dipendenti non consiglierebbe l’azienda per la quale lavora, a causa dell’ambiente di lavoro poco stimolante (52,1%), stipendio e benefit poco soddisfacenti (28,8%). E il 66,7% non si sente valorizzato. Uno scenario alimentato, soprattutto, dalla decisione di assumere risorse esterne all’azienda anziché valorizzare le potenzialità interne (37,6%). Aziende e candidati confermano che la leva economica è essenziale per acquisire talenti o restare. Il 52,7% dei dipendenti afferma infatti che la propria soddisfazione migliorerebbe a fronte di un salario più adeguato e in crescita nel corso degli anni, parallelamente a un percorso di carriera ben sviluppato. Smartworking, orario flessibile, una leadership che supporti e valorizzi le proprie risorse, sono altri fattori fortemente motivanti, sostenuti dal 22,3% degli intervistati.

Occorre modificare l’approccio culturale

Le aziende dovranno fare i conti con dimissioni in caso di scarsa motivazione e poca considerazione dei dipendenti (38,3%). Dovranno quindi modificare l’approccio culturale, ascoltando maggiormente (31,2%) e dialogando con i dipendenti per trovare punti di incontro (25%). L’orizzonte temporale a 5 anni, riporta Adnkronos, restituisce la fotografia di candidati che si vedono impegnati nella ricerca del nuovo, spinti dalla voglia di crescere e imparare (41,7%), nei panni di imprenditore (37,2%), o in un’azienda più affine alle proprie caratteristiche (13,2%). Solo il 7,9% ‘si vede’ nella stessa azienda, di cui apprezza l’ambiente di lavoro e l’attenzione ai dipendenti, ma in una posizione di maggiore responsabilità.

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