Coronavirus, con il lockdown gli italiani ingrassano di 2 Kg

Dopo due mesi trascorsi tra la cucina e il salotto a causa dal lockdown, nel carrello della spesa degli italiani il cibo e il comfort food aumentano del 18%. Questo, anche per le festività pasquali, avvenute in concomitanza della quarantena, che hanno favorito un vero e proprio boom di alimenti “consolatori”, come dolci, farine per fare il pane in casa, piatti pronti. Cibi ricchi di calorie, zuccheri, grassi e carboidrati. Con l’arrivo della Fase 2 per gli italiani scatta quindi la guerra alla bilancia. Grazie alla domiciliazione forzata i nostri connazionali sono ingrassati di almeno un paio di chili. Lo sostiene la Coldiretti, che in occasione dell’avvio della Fase 2, ha stimato l’aumento di peso degli italiani basandosi sui dati dei consumi nazionali di Ismea.

Il boom del comfort food

I dati dei consumi nazionali dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare nel periodo compreso tra il 16 marzo e il 12 aprile hanno appunto visto crescere del 18% la spesa di cibo finito sulle tavole degli italiani.

Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno Ismea ha evidenziato un vero e proprio boom del cosiddetto “comfort food”, ricco di calorie, ma in particolare, sottolinea la Coldiretti, una ordalia di zuccheri, grassi e carboidrati.

Fase 2, obiettivo recuperare la forma perduta

Secondo Ismea in un mese sulle tavole degli italiani sono finiti +150% di farine e semole, +14% di pane, crackers e grissini, +7% di pasta e gnocchi, +38% di impasti base e pizze, +13% di dolci, +24% di primi piatti pronti, oltre a un +37% di olio di semi usato per fritture di ogni tipo, dolci e salate. Con l’inizio della Fase 2, che permette passeggiate e allenamenti singoli, con il via libera a runner e ciclisti, la perdita di peso diventa però un obiettivo prioritario. Il 47% degli italiani secondo Coldiretti/Ixè sono attenti alla dieta, e si metteranno in moto per riprendere la forma perduta, riporta Ansa.

Consumare più frutta e verdura per mantenersi in salute

Un aiuto viene dalla grande disponibilità lungo tutta la Penisola di frutta e verdura, che in questa stagione garantiscono anche una riserva naturale di vitamine, consigliate anche dall’Iss (Istituto superiore di sanità) per mantenersi in salute. Sul sito dell’Iss si possono infatti trovare i consigli sull’alimentazione durante l’emergenza Covid-19. Che invitano proprio ad “aumentare la quota di alimenti vegetali nella nostra dieta”, con “più frutta e verdura e più legumi in ogni pasto della giornata”.

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Farmaci online, in Italia un mercato da 315 milioni di euro

Nel 2019 il mercato italiano delle vendite online di prodotti da farmacia ha fatturato circa 240 milioni di euro, e per il 2020 sono previste vendite per 315 milioni. Un vero e proprio boom, quello di farmaci, integratori e cosmetici venduti sui siti di e-commerce nel nostro Paese. E secondo Iqvia, la società globale per l’analisi di dati e soluzioni tecnologiche in sanità, se le stime saranno confermate, anche nel 2020 l’Italia sarà il terzo mercato europeo, dietro Germania e Francia.

Nel 2018 una crescita a doppia cifra

Secondo i dati Iqvia, in Italia nel 2018 il valore dell’e-commerce nel settore farmacia è stato di circa 155 milioni di euro, con un’accelerazione di oltre il 60% rispetto ai 96 milioni del 2017. Una crescita a doppia cifra, quindi.

Più in dettaglio, dei 155 milioni di euro di vendite online fatturate nel 2018, 66 riguardano prodotti da banco, come farmaci di autocura e integratori, che registrano un tasso di crescita del 60%, mentre igiene e bellezza valgono 52 milioni, cresciuti del +38% rispeto all’anno precedente.

Prezzi concorrenziali determinano la scelta per l’acquisto sul web

“La crescita del commercio al dettaglio online è ormai inarrestabile, e lo sta diventando anche per quanto riguarda la farmacia – commenta Sergio Liberatore, amministratore delegato di Iqvia -. Nel carrello virtuale finiscono anche i farmaci di autocura, le vitamine e le creme, escluso il farmaco da ricetta rossa, di cui in Italia non è consentita la vendita online, a differenza di altri Paesi”. Ma cosa spinge ad acquistare questi prodotti online piuttosto che al banco? “Secondo le nostre stime – spiega l’ad di Iqvia – per quanto riguarda i prodotti da farmacia, il principale fattore che spinge il consumatore all’e-commerce è il prezzo”, spesso molto più basso di quello del medesimo prodotto offerto da farmacie e parafarmacie. Sono però anche altri i parametri che influenzano la decisione. Per alcuni è importante la riservatezza, e l’acquisto online permette al consumatore di mantenere l’anonimato fisico, riporta Ansa.

Numeri ancora piccoli, ma con prospettive più che positive

In realtà i numeri delle vendite online di prodotti da farmacia in Italia, anche se crescono molto, sono ancora piccoli. Oggi infatti rappresentano appena l’1,9% del totale del fatturato di farmaci & co.

Ma l’e-commerce è un servizio che il consumatore sta chiedendo in maniera sempre più decisa, e rappresenta una prospettiva positiva per il futuro. Su internet il cliente ha la possibilità di confrontare i prodotti, le offerte e gli sconti, e di acquistare il prodotto al prezzo più competitivo.

Inoltre, gioca un ruolo importante la comodità di fare shopping 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana senza dover uscire di casa. Elemento non trascurabile, specialmente se si è ammalati.

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Nel triennio 2019-2022 previsioni positive per Milano, Monza Brianza e Lodi

Come sarà l’economia del prossimo triennio per Milano, Monza Brianza e Lodi? Le previsioni per le tre province lombarde per il periodo 2019-2022 sono positive. Si stima infatti un aumento complessivo del valore aggiunto pari a +0,8%, guidato dall’incremento di industria e servizi (+0,8%), a cui si aggiunge un aumento più consistente delle costruzioni (+1,4%). Un andamento che si riflette anche nelle stime del reddito delle famiglie, che a fine periodo collocano il reddito disponibile a +2,2% e il tasso di disoccupazione al 5,3%. È quanto emerge da un’elaborazione dell’ufficio studi della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su dati Prometeia a ottobre 2019.

Milano, valore aggiunto complessivo a +0,9%, trainato da industria e servizi

Le previsioni per il periodo 2019-2022 per Milano nello scenario di ottobre 2019 stimano un aumento complessivo del valore aggiunto pari a +0,9%, trainato dall’industria (+0,9%) e dai servizi (+0,8%), ma è più consistente l’aumento delle costruzioni (+1,2%). Una crescita che si riflette anche nelle stime di aumento del reddito delle famiglie, che a fine periodo è previsto del +2,2%, e un tasso della disoccupazione al 5,3%.

Monza Brianza e Lodi, cresce il reddito famigliare

Le previsioni per il periodo 2019-2022 per Monza Brianza nello scenario di ottobre 2019 stimano un aumento complessivo del valore aggiunto pari al +0,7%, trainato dall’incremento delle costruzioni (+2%) e dei servizi (+0,6%). L’industria segna invece un +0,5%. L’incremento del reddito delle famiglie a fine periodo per Monza Brianza è stimato intorno al +2,2% mentre il tasso di disoccupazione è al 5,4%.  Le previsioni per il periodo 2019-2022 per Lodi nello scenario di ottobre 2019 stimano invece un aumento complessivo del valore aggiunto pari al +0,9%, trainato anche in questo caso dall’incremento delle costruzioni (+3,2%) e dei servizi (+0,8%). Positive anche le previsioni per l’industria lodigiana (+0,5%), mentre l’aumento del reddito disponibile delle famiglie a fine periodo si stima al +2,1%, e il tasso di disoccupazione al 5,3%.

“Puntiamo a mantenere il nostro ruolo attrattivo a livello nazionale ed estero”

“I dati sono positivi – dichiara Marco Dettori, membro di giunta della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi -. Puntiamo a mantenere il nostro ruolo attrattivo a livello nazionale ed estero”. La capacità di rafforzarsi dei territori di Milano, Monza Brianza e Lodi, dal punto di vista imprenditoriale “è fondata su un’economia che riesce ancora a innovarsi – aggiunge Dettori – ed è aperta al contributo di chi vuole realizzare una propria idea”.

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Tra Imu e Tari oltre 7 miliardi evasi

Ammontano a 7,6 miliardi di euro all’anno i mancati pagamenti di Imu-Tasi, Tari e dell’acqua. Lo conferma l’Ufficio studi della Cgia, che ha stimato le morosità degli italiani dopo aver elaborato gli ultimi dati disponibili del Ministero degli Interni per Imu-Tasi, del Laboratorio REF Ricerche, CRIF Ratings(per la Tari e di Utilitatis per l’acqua. “Se una gran parte di questi mancati pagamenti fosse recuperato, molto probabilmente ci sarebbe la possibilità di abbassare le tasse locali e le tariffe dell’acqua a tutti – spiega il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo -. Soprattutto nel Mezzogiorno che presenta un’incidenza sul mancato pagamento totale pari al 40%”.

L’evasione di Imu e Tari

Dei 5,1 miliardi di evasione per la sola Imu nel 2016 circa 1,87 miliardi sono ascrivibili ai proprietari degli immobili delle regioni del Nord, 1,81 miliardi a quelli del Sud, e 1,4 miliardi a quelli del Centro. Per quanto riguarda la propensione all’evasione spiccano Calabria, pari al 43,2%, Campania, 38,5%, e Sicilia, al 36,6%. Le tre Regioni più virtuose, riporta Adnkronos, sono invece il Piemonte (tax gap al 21,7%), la Lombardia (20,6%), e la Liguria (18,3%).

Evidenti differenze Nord e Sud anche per quanto concerne la stima dell’evasione della Tari. Secondo le stime, su 9 miliardi di gettito complessivo registrato nel 2018, il mancato incasso a livello nazionale è stato di 2,1 miliardi di euro, di cui poco più di 1 miliardo in capo ai cittadini/imprese del Sud. A livello regionale svetta la mancata riscossione per abitante del Lazio pari a 121,8 euro. Al contrario, pressoché nullo il mancato pagamento registrato in Trentino Alto Adige e in Valle d’Aosta.

La morosità del servizio idrico

I dati emersi nell’indagine condotta da Utilitatis, poi, consentono di stimare la morosità del servizio idrico erogato agli utenti domestici solo per ripartizione geografica. A fronte di una spesa idrica complessiva delle famiglie italiane pari a 4,6 miliardi di euro, ammonta a 364 milioni di euro la mancata riscossione registrata a 2 anni dall’emissione della fattura, di cui 226 milioni di euro fanno capo alle famiglie del Sud (11 euro per abitante), 80 milioni a quelle del Nord (3 euro per abitante) e 58 milioni a quelle del Centro (5 euro per abitante).

Dal 1° gennaio 2020 scatta la riforma della riscossione degli enti locali

Nonostante l’evasione, il blocco degli aumenti dei tributi locali avvenuto tra il 2015-2018 e il taglio ai trasferimenti dello Stato centrale, i sindaci hanno comunque trovato il modo di compensare, almeno in parte, queste mancate entrate agendo sulle tariffe locali. Ma con la legge di bilancio 2020 le cose sono destinate a cambiare. La manovra, infatti, prevede la Riforma della riscossione degli enti locali, che consentirà alle amministrazioni di recuperare i mancati pagamenti senza attendere i tempi di iscrizione a ruolo del debito o di predisposizione dell’ingiunzione. “In buona sostanza – afferma il ricercatore dell’Ufficio studi Andrea Vavolo – dall’1 gennaio 2020 ai sindaci servirà un solo atto, anziché due, ovvero l’accertamento e l’ingiunzione, per arrivare alla soluzione estrema: l’esecuzione forzata”.

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L’Italia è un Paese di operai, l’identikit dell’Inps

L’Italia è un Paese di operai, dove aumentano i contratti a tempo indeterminato, ma permane il divario economico tra Nord e Sud e tra uomini e donne. Dai rilevamenti Inps sui dipendenti pubblici e privati nel 2018 emerge un identikit che rappresenta oltre la metà dei 15.713.289 dipendenti privati, più di quattro volte quelli pubblici (3.583.175 unità), e che dimostra come le “tute blu” nel 2018 siano la principale forza lavoro del Paese. Nel 2018 gli operai del settore privato rappresentano il 55,6% del totale dei lavoratori privati (8.729.609), contro il 36,6% degli impiegati, il 3,8% degli apprendisti, il 3% dei quadri e lo 0,8% dei dirigenti. Nel pubblico invece a primeggiare sono i dipendenti della scuola.

Nel settore privato gli operai sono il 55,6% del totale

I contratti a tempo indeterminato, che includono anche gli apprendisti, salvo una piccolissima quota classificata tra gli stagionali, è pari a 11.549.023 lavoratori, corrispondenti a più del 73,5% del totale (+1,2% sul 2017), e con una retribuzione media annua di euro 25.845 e 277 giornate medie retribuite.

Quasi un terzo dei lavoratori dipendenti (31,9%) lavora nel Nord-ovest. Segue il Nord-est (23,8%), il Centro (21,0%), il Sud (16,4%) e le Isole (6,8%), solo lo 0,1% lavora all’estero. La retribuzione media è di 21.530 euro, ma presenta valori più elevati nelle due ripartizioni del Nord, 25.154 euro nel Nord-ovest e 22.747 nel Nord-est, con un forte divario rispetto alle ripartizioni del Mezzogiorno, pari a 15.845 euro.

Aumentano i dipendenti pubblici, soprattutto nella scuola

Con 3.583.175 unità i dipendenti pubblici sono aumentati dello 0,6% rispetto al 2017. Il gruppo contrattuale più numeroso è la Scuola, con il 36,9% dei lavoratori, seguito dal Servizio Sanitario (19,1%), le Amministrazioni locali (Regioni, Province, Comuni, 16,8%( e dalle Forze Armate, Corpi di polizia e Vigili del Fuoco (14,5%). I cinquantenni sono i dipendenti pubblici che nel 2018, risultano i più numerosi. Sugli oltre 3,58 milioni quelli con età fra i 50 e i 54 anni rappresentano il 18,8%, con 673.547 lavoratori. Di poco inferiore risultano essere quelli con età compresa tra i 55 e i 59 anni (672.909). Inoltre, dalla rilevazione risulta che il 96% della collettività ha età maggiore di 30 anni.

I lavoratori maschi sono il 41,5% dei lavoratori pubblici

Per quanto riguarda il genere, Riporta Adnkronos, i lavoratori maschi rappresentano il 41,5% della distribuzione nel complesso. Rispetto alle classi di età si osserva che solo nelle classi dei più giovani, fino a 24 anni, i maschi sono prevalenti raggiungendo la quota del 65%. La retribuzione media dei dipendenti pubblici è di 32.968 euro, in crescita del 3,1% rispetto all’anno precedente per effetto dei rinnovi dei contratti 2016-2018 nei vari comparti del pubblico impiego, e risulta molto differenziata sia per età sia per genere.

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Economia sommersa, un business da 192 miliardi

L’economia sommersa in Italia ammonta a poco meno di 192 miliardi di euro, e le attività illegali a essa correlate circa 19 miliardi. Nel 2017 l’economia non osservata valeva circa 211 miliardi di euro, il 12,1% del Pil nazionale. E le unità di lavoro irregolari nel 2017 erano 3 milioni 700 mila, in crescita di 25 mila unità rispetto al 2016. L’aumento della componente non regolare ha segnato la ripresa di un fenomeno che nel 2016 si era invece attenuato, scendendo dello 0,7% rispetto al 2015. I dati emergono dall’ultimo rapporto Istat, in cui le stime per il 2017, dopo il picco del 2014 (13,0%), confermano la tendenza alla riduzione dell’incidenza sul Pil della componente non osservata dell’economia.

Nel 2017 incidenza sul Pil lievemente ridotta

Nel 2017 il valore aggiunto generato dall’economia non osservata, ovvero dalla somma di economia sommersa e attività illegali, si era attestato a poco meno di 211 miliardi di euro (erano 207,7 nel 2016), con un aumento dell’1,5% rispetto all’anno precedente, segnando una dinamica più lenta rispetto al complesso del valore aggiunto, cresciuto del 2,3%. L’incidenza dell’economia non osservata sul Pil si era perciò lievemente ridotta, portandosi al 12,1% dal 12,2% nel 2016, e confermando la tendenza in atto dal 2014, anno in cui si era raggiunto un picco del 13%. La diminuzione rispetto al 2016 era interamente dovuta alla riduzione del peso della componente riferibile al sommerso economico (dal 11,2% al 11,1%), mentre l’incidenza dell’economia illegale restava stabile (1,1%).

Il valore aggiunto generato dall’impiego di lavoro irregolare

In merito alla composizione dell’economia non osservata, ovvero al peso percentuale che ciascuna componente ha sul totale dell’economia non osservata, la correzione della sotto-dichiarazione del valore aggiunto risulta essere la componente più rilevante in termini percentuali: nel 2017 pesava il 46,1% (+0,3 punti percentuali rispetto all’anno precedente). Il valore aggiunto generato dall’impiego di lavoro irregolare costituiva la seconda componente in termini di peso sul totale, attestandosi nel 2017 al 37,3% (-0,5 punti percentuali rispetto al 2016).

I settori più colpiti

L’incidenza del lavoro irregolare, rileva l’Istat, è più elevata nel settore dei servizi (16,8%) e raggiunge livelli particolarmente elevati nel comparto degli altri servizi alle persone (47,7). In termini assoluti, nel comparto del commercio e quello degli altri servizi alle persone sono impiegate il 61% del totale delle unità di lavoro non regolari.

Il confronto tra settori evidenzia che in agricoltura l’incidenza del lavoro irregolare dipendente è quasi 5 volte superiore a quello del lavoro indipendente, mentre negli altri servizi alle imprese e nel comparto istruzione, sanità e assistenza sociale, il tasso di irregolarità degli indipendenti è oltre il doppio di quello dei dipendenti.

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Imprese cybersecurity, +300% in meno di due anni

Tra la fine del 2017 e i primi tre mesi del 2019 le imprese italiane specializzate in servizi per la sicurezza informatica e la privacy sono aumentate di oltre il 300%, passando da poco meno di 700 a oltre 2.800 unità. Un vero e proprio boom per le aziende anti-hacker, capaci cioè di contrastare i rischi informatici legati all’era digitale. Secondo un’elaborazione Unioncamere-InfoCamere sui dati del Registro delle imprese delle Camere di commercio non si tratta solo di nuove aziende, ma anche di realtà già esistenti, e che negli ultimi 18 mesi hanno fatto ingresso nel comparto rivedendo la descrizione della propria attività prevalente.

Nel 2017 quasi 2 miliardi di euro di valore della produzione

A questo balzo nel numero degli operatori corrisponde un aumento ancora più marcato nel numero degli addetti, passati nello stesso periodo da 5.600 a 23.300 unità, e corrispondenti a una media di 8 addetti per azienda al 31 marzo di quest’anno. Dal punto di vista delle performance finanziarie, dei bilanci delle 562 imprese del comparto costituite nella forma di società di capitale, e che hanno presentato il bilancio negli ultimi tre anni (il 38% del totale), nel 2017 il valore della produzione è stato di quasi 2 miliardi di euro, +10,6% rispetto a quello realizzato dalle stesse imprese nel 2015. In media, ciò equivale a un valore della produzione di circa 2,4 milioni di euro pro-capite per le aziende della cyber-security tricolore.

Lombardia leader per fatturato, Lazio per numero di aziende

Con il 42,5% del totale (835 milioni) è la Lombardia la regione leader per fatturato realizzato dalle imprese del comparto. Secondo il Lazio, con 307 milioni, mentre la terza regione, molto distaccata, è l’Emilia Romagna (233 milioni), riporta Adnkronos. La concentrazione più elevata di imprese italiane impegnate nella lotta al cybercrime si registra nel Lazio, dove al 31 marzo scorso avevano sede 634 imprese (il 23% del totale). Dall’anali emerge ancora che sempre il Lazio si aggiudica la fetta più consistente della crescita assoluta di imprese votate alla cybersicurezza negli ultimi tre anni: 468 imprese in più tra 2017 e marzo 2019, il 22% dell’intero saldo nazionale.

Lombardia, Lazio e Trentino Alto Adige hanno creato più opportunità di lavoro

A seguire in entrambe le classifiche c’è la Lombardia (con 492 imprese residenti alla fine di marzo e un aumento di 371 aziende dal 2017). Inoltre, Campania, Sicilia e Puglia si segnalano, a seguire, come le regioni più sensibili al tema della sicurezza informatica e del contrasto professionale al cyber-crime. Mentre sono in Lombardia, Lazio e Trentino Alto Adige le imprese italiane che, sul fronte degli addetti, hanno creato più opportunità di lavoro nel settore. Con i loro 13.909 addetti rappresentano infatti il 60% di tutto il settore. In questa classifica, la Campania si colloca al quinto posto, ed la prima tra le regioni del Mezzogiorno con 1.153 addetti e il 4,9% del totale.

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I Millennial non aiutano i genitori poco digitali

I Millennial sono preoccupati che i propri genitori possano diventare vittime di truffe online, ma spesso non li aiutano. Lo ammette il 25% dei Millennial a livello europeo e il 19% in Italia, che dichiara di cercare di evitare i famigliari che sembrano avere bisogno del loro supporto tecnologico.

Secondo una indagine condotta da Kaspersky molti Millennial si sentono chiedere sempre più spesso dai membri più anziani della famiglia un aiuto in campo tecnologico. E questa situazione ha portato un giovane su sette a temere che i genitori possano diventare vittime di truffe digitali quando loro non sono pronti ad aiutarli.

Più della metà si sente in dovere di offrire supporto tecnologico ai famigliari

La ricerca di Kaspersky rileva inoltre che se più della metà dei Millennial (55%) ammette di sentirsi in dovere nell’offrire un supporto tecnologico ai famigliari più anziani, questa percentuale per l’Italia tocca il 51%. Una condizione che si riflette sulle relazioni in generale e ha anche un impatto sulle scelte di acquisto dei più giovani. Quasi un terzo di loro, il 30% in Europa e il 28% per il campione italiano, ha dichiarato addirittura di non acquistare regali tecnologici per i propri parenti meno giovani per evitare di doversi occupare del loro settaggio, riferisce Adnkronos.

Una richiesta ormai comune in tutte le case del mondo

“Le generazioni più adulte hanno intenzione di proteggersi dal punto di vista tecnologico senza ricorrere ad alcun aiuto esterno, ma non possiedono le conoscenze di base. È un tema con il quale non hanno familiarità e sul quale circolano storie di cronaca piuttosto negative – commenta Morten Lehn, General Manager Italy di Kaspersky – proprio per questo preferiscono avere al loro fianco le persone di cui si fidano. Questa è la causa per cui una richiesta che inizia con ‘Mi potresti…?’ è diventata comune in tutte le case del mondo”.

Trarre vantaggio dalla tecnologia, anche se fa paura

Anche se molti Millennial trovano queste pretese frustranti, molti di loro si sentono obbligati ad aiutare tecnologicamente i membri della propria famiglia. Nonostante si trovino a dover affrontare diverse sfide, come cercare di comprare una casa, formare una famiglia o fare passi avanti nella carriera.

“Il drastico aumento della presenza della tecnologia all’interno delle nostre automobili, dei nostri uffici e degli ambienti che frequentiamo ha messo tutte le generazioni di fronte ad una sfida: imparare costantemente a trarne vantaggio – aggiunge la psicoterapeuta Kathleen Saxton -. Quelli che hanno passato la mezza età possono sentirsi confusi da questi cambiamenti e temono di essere ingannati, di trovarsi esposti o di essere presi di mira, e spesso sono proprio i Millennial a salvarli”.

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Il settore manufatturiero è in ripresa. Ma servono investimenti e tecnologia

Il peggio dovrebbe essere passato, ma per garantire al manifatturiero italiano una crescita nel prossimi quattro anni servono investimenti e una maggiore competitività all’estero. In questi anni difficili l’industria italiana si è rafforzata, e ora è “un’industria più resiliente anche alle incertezze internazionali”, spiega Gregorio De Felice, capo economista del gruppo Intesa Sanpaolo ad Askanews. Nello scenario al 2023 si prevede una ripresa rispetto alla situazione attuale, e una crescita più alta soprattutto per il settore dell’automobile, per la meccanica, il farmaceutico e per il largo consumo.

Il quadro nel complesso è positivo

Secondo il 95° Rapporto analisi dei settori industriali presentato da Intesa Sanpaolo e Prometeiam l’industria italiana continua a beneficiare delle basi solide su cui poggia storicamente. E l’analisi dei bilanci 2017 ne conferma un rafforzamento patrimoniale e di redditività. “Oggi l’industria italiana esporta il 48% di quanto produce sul nostro territorio – aggiunge De Felice – un’industria che ha investito e che ha cambiato il proprio modello di crescita, puntando molto di più sui mercati internazionali”.

Il quadro, insomma, nel complesso è positivo, pur con forti incertezze per il clima politico e per la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, oltre che per la situazione politica interna, in particolare in riferimento alle elezioni europee.

Grande attenzione al settore dell’automobile

“Il settore manufatturiero italiano – commenta Alessandra Lanza, Senior Partner di Promèteia – sta attraversando quest’anno un periodo di stasi, rimaniamo comunque su una tenuta del fatturato e ci attendiamo un recupero nel periodo di previsione 2020-23 con una intensificazione verso fine periodo”.

Grande attenzione è posta sul settore dell’automobile, con la transizione all’elettrico e l’introduzione di nuove tecnologie che appaiono come elementi decisivi per un forte rilancio del comparto. “L’elettrificazione delle auto – sottolinea De Felice – rappresenta un’opportunità gigantesca per investire di più, per fare un cambio epocale dalla vecchia auto, dai vecchi motori, a sistemi di alimentazione diversi”.

Stimolare gli investimenti pubblici e quelli delle imprese

“Al traino del settore dell’auto  seguirà tutta la componentistica in primis, ma anche il settore dell’elettrotecnica – chiarisce Lanza -. Ci immaginiamo che i settori tradizionali del Made in Italy facciano anch’essi fatica quest’anno per l’incertezza sui mercati internazionali, ma poi ritornino a rafforzare le proprie posizioni competitive dall’anno prossimo, sfruttando l’ottimo posizionamento che hanno raggiunto negli ultimi anni, e la grande flessibilità che hanno nel riuscire a cogliere mercati sempre in crescita, riposizionando le proprie esportazioni con la classica flessibilità degli esportatori italiani”.

Tra le possibili ricette per sostenere questo trend, De Felice individua due aspetti in particolare, stimolare gli investimenti pubblici e quelli delle imprese, “che hanno accumulato un forte divario rispetto ad altri partner europei”.

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Tax Free Shopping, +13% i primi 3 mesi del 2019

Il 2019 è iniziato bene per il Tax Free Shopping in Italia: da gennaio a marzo si registra infatti un incremento del 13% rispetto al medesimo periodo del 2018. E cresce anche lo scontrino medio dei turisti internazionali, attestandosi a 831 euro, + 9% rispetto al medesimo trimestre del 2018.

A trainare le vendite in questo primo trimestre 2019 è la categoria merceologica Abbigliamento e pelletteria, che ha registrato un incremento del 10% rispetto ai primi tre mesi del 2018, con uno scontrino medio pari a 796 euro (+8%). Aumento anche per la categoria Orologi e gioielli con acquisti tax free: +34% sul 2018, e +23% dello scontrino medio dedicato, pari a 3.382 euro.

Cinesi, russi e americani sul podio

È quanto emerge dai dati di Global Blue, la società di rimborso imposte sullo shopping del turismo, che in termini di nazionalità segnalano la conferma dei turisti cinesi, con un peso del 29% sul totale delle vendite Tax Free in Italia, seguiti da russi (14% del totale) e statunitensi (6% del totale).

Nel primo trimestre 2019, i Globe Shopper cinesi hanno fatto registrare un incremento del 4% nelle vendite Tax Free rispetto al medesimo periodo di un anno fa, con uno scontrino medio di 1.213 euro (+15), quasi il doppio di quello dei turisti russi (649 euro). Trend positivo anche per i viaggiatori statunitensi, con un Tax Free Shopping che cresce del 32% e uno scontrino medio in aumento dell’8% (1.004 euro).

Svizzeri +72% e arabi +51%

In questi primi tre mesi del 2019, i dati Global Blue evidenziano però incrementi significativi di acquisti Tax Free anche da parte dei turisti svizzeri, che fanno registrare incrementi del 72%, e arabi (+51%). Questi ultimi, seppure interessanti dal punto di vista del valore degli acquisti, hanno ancora una presenza e un peso minoritario nel nostro Paese.

Milano, Roma, Firenze e Venezia le capitali degli acquisti

Quanto alle mete di viaggio dei turisti internazionali gli acquisti Tax Free a Milano hanno registrato un incremento del 16%, a Roma del 13%, a Firenze del 11% e a Venezia del 19%.

In questo primo trimestre 2019 i dati Global Blue confermano Milano come meta prediletta dei Tax Free Shopper di tutte le principali nazionalità di turisti. Nel periodo considerato a Milano si registra lo scontrino medio più alto (1.164 euro, +14%), mentre Roma riporta uno scontrino medio di 917 euro (+7%), e Firenze di 858 euro (+13%), riporta Adnkronos.

Ma a riportare il maggior incremento nelle vendite è Venezia (+19%) dove i turisti extra Ue hanno speso in media 1.071 euro (+8%).

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