Rate mutui a tasso variabile sotto pressione: +36%

Secondo l’analisi condotta da CRIF sull’impatto dell’innalzamento dei tassi sui mutui, elaborata sul patrimonio informativo del Sistema di Informazioni Creditizie EURISC, il 26% dei mutui ipotecari attivi a gennaio 2022 era a tasso variabile. La crescita dei tassi, rispetto ai minimi di metà 2022, ha comportato un aumento della rata per i mutui a tasso variabile mediamente del +36% rispetto ai minimi di metà 2022.

L’analisi registra che il trend di crescita dei tassi ha significato un incremento del +25% sul livello complessivo di indebitamento di chi ha sottoscritto un mutuo a tasso variabile negli ultimi 5 anni.
Insomma, l’aumento dei tassi di interesse, la risposta della BCE per contrastare l’inflazione, ha generato non poche conseguenze per privati e ditte individuali che in questi anni hanno sottoscritto mutui a tasso variabile.

Un picco del +49%

L’effetto più tangibile dell’innalzamento dei tassi è sulla rata media, con un picco del +49% per i mutui erogati negli ultimi 5 anni.
Di fatto, per i mutui a tasso variabile sottoscritti negli ultimi 5 anni, l’esposizione residua a fine 2023 è aumentata del 25%. E la tensione finanziaria di oltre 15 punti percentuali per le fasce medio-alte.

La principale evidenza emersa dall’analisi CRIF è infatti l’aumento dell’esposizione finanziaria dei mutuatari, nonostante le 24 rate pagate nel periodo fra gennaio 2022 e dicembre 2023.

Peggiora il rapporto rata-reddito

In parallelo, l’aumento delle rate mensili ha prodotto un peggioramento significativo del rapporto rata-reddito, in media di 8 punti percentuali dai minimi di metà 2022. Inoltre, per i mutui erogati negli ultimi 5 anni tale peggioramento ha raggiunto i 10 punti percentuali.
Nonostante l’aumento dei tassi di interesse, i soggetti con mutui a tasso variabile non hanno mostrato un incremento nel tasso di insolvenza.

L’analisi dell’indice di tensione finanziaria, costruito da CRIF per identificare casi di eccessivo indebitamento e prevenire situazioni di dissesto, mostra invece un peggioramento.
In questo caso, i soggetti con mutui a tasso variabile mostrano un aumento della tensione finanziaria, con uno spostamento di oltre 15 punti percentuali dalle classi di livello basso e medio-basso a quelle di livello medio-alto e alto.

“Non c’è stato un incremento significativo nel tasso di insolvenza”

“Le dinamiche di crescita dei tassi di interesse hanno portato nell’ultimo biennio a un significativo impatto sui mutuatari a tasso variabile – commenta Simone Capecchi, Executive Director di CRIF -. Tuttavia, nonostante questi impatti, i dati evidenziano che non c’è stato un incremento significativo nel tasso di insolvenza, sebbene si sia osservato un aumento della tensione finanziaria.

Le prospettive di un possibile abbassamento dei tassi a giugno 2024 fanno sperare per un sollievo ai mutuatari, riducendo la pressione e contribuendo a stabilizzare la situazione finanziaria. In ogni caso, è fondamentale, nell’attuale contesto macroeconomico e geopolitico di incertezza, rimanere vigili per affrontare le sfide che lo scenario potrebbe presentare”.

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“Non siamo sfaticati”: perchè la GenZ rifiuta gli stereotipi legati al lavoro? 

Lo confermano i risultati dell’ultima ricerca di Zelo sulla GenZ e il mondo del lavoro: i nativi digitali rigettano alcuni stereotipi che li accompagnano nel mondo del lavoro, e non vogliono essere definiti una generazione ‘sfaticata’.

Ma se da una parte vogliono essere protagonisti del loro futuro e ceo dei loro sogni, magari essere a capo di un’azienda tutta loro, quando si tratta di doversi prendere le responsabilità affermano di volerle condividere con il team. O non volersele ‘accollare’ perché generano ansia (60%).
E ancora, se il 41% dei GenZ preferirebbe lavorare in una grande azienda, le multinazionali piene di superuomini e superdonne ‘sempre performanti’ li intimoriscono. Questo perché i ragazzi Z vivono nella costante paura del fallimento e del timore del giudizio.

Per i nativi digitali i feedback non sono un plus

Abituati alla gratificazione immediata dei social, per loro i feedback non sono un plus, ma l’ossessione che li guida nei progetti e nelle loro giornate lavorative. Il feedback deve avere con sé un suggerimento o esempio concreto (38%), e un riscontro negativo li porta a dubitare di sé stessi (37%).

La GenZ ha anche bisogno di leader che sappiano motivare e ‘parlino bene di loro’ con gli altri. Non stupisce quindi che affermino di sentirsi gratificati se ricevono complimenti dal capo o i colleghi (60%) o premi in denaro (37%).
Il lavoro ideale? Non è scandito da regole, ma da obiettivi chiari (42%), meglio se nelle prime fasi di onboarding c’è un tutor dedicato (49%. 

Il falso mito dello smart working

Anche sul posto di lavoro, poi, sono alla ricerca di nuovi amici con cui magari fare i Be Real durante la giornata e con cui andare agli eventi post lavoro per placare la Fomo (Fear of Missing Out), la paura e l’ansia sociale di essere esclusi da esperienze ed eventi.

E anche lo smart working si rivela un ‘falso mito’ per attrarre la GenZ, visto che il 39% non lo ritiene fondamentale se il lavoro piace. Al contrario, un 14% pensa che il lavoro da remoto sia ‘indispensabile’ proprio per limitare quell’ansia sociale che questa generazione vive costantemente.
A fronte di una generazione ‘emotiva’, profondamente diversa da quelle che l’hanno preceduta, anche gli Hr devono rivedere i loro modelli operativi.

“Sembrare seri” oggi non convince più

Occorre infatti che gli ultimi vent’anni sono gli unici in cui hanno vissuto i ragazzi della GenZ e sono anche quelli in cui si è alleggerito sensibilmente il livello di formalità in ogni ambito della vita.

Ad esempio, ‘dare del lei’ è diventato demodé, le chat hanno preso il posto delle panchine e i grandi must di eleganza sono diventati pezzi iconici per le feste in maschera.
La recruting journey va ripensata: dal linguaggio ai cerimoniali di accoglienza, dai job title all’iter di selezione, tutto quello che si fa per ‘sembrare seri’ oggi non convince più.

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Contenuti digitali: nel 2023 gli italiani hanno speso 3,6 miliardi di euro, +5%

Il mercato dei contenuti digitali si articola in due macro-componenti, la spesa degli utenti per fruire dei contenuti attraverso sottoscrizione di abbonamenti o l’acquisto di singoli contenuti, e la raccolta pubblicitaria.
E a quanto emerge dall’Osservatorio Digital Content, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, nel 2023 la spesa dei consumatori italiani in contenuti digitali raggiunge 3,6 miliardi di euro, +5% rispetto al 2022.

A contribuire allo sviluppo, il rinnovato interesse da parte degli utenti per una vasta gamma di contenuti digitali. In particolare, l’informazione, i video di intrattenimento e i contenuti musicali.

Il 44% della spesa è per video intrattenimento

Il settore più rilevante in valore assoluto è il Video Intrattenimento che pesa il 44% della spesa totale (circa 1,6 miliardi), e cresce anno su anno del +7% in termini di spesa del consumatore e del +14% per la raccolta pubblicitaria. Influiscono sui numeri del settore l’aumento dei prezzi, i nuovi modelli di abbonamento ibridi, che includono anche annunci pubblicitari, e il potenziato contrasto alla pirateria.

Cresce (+18%) anche il settore dell’Audio Digitale (musica, audiolibri, podcast), seppur rappresenti solo il 9% del totale del mercato (circa 325 milioni).
Informazione ed eBook rimangono invece ancora poco rilevanti in termini assoluti (5% della spesa totale, 170 milioni). Mentre il Gaming, grazie alla diffusione di consolle digital only, torna a crescere (+2%) coprendo il 42% della spesa (oltre 1,5 miliardi).

Tra i più fruiti anche informazione e musica

Secondo i dati BVA Doxa, nel 2023 i contenuti più fruiti dagli utenti italiani (80%) sono informazione, video di intrattenimento e contenuti musicali, seguiti da riviste, videogiochi e podcast. Seppur eBook e audiolibri catturino l’interesse solo di circa un terzo del campione, insieme ai podcast risultano quelli con il maggiore potenziale di crescita nel prossimo futuro.
I consumatori italiani dichiarano che il tempo dedicato ai contenuti digitali rimarrà stabile nei prossimi 12 mesi.

I video di intrattenimento on-demand risultano centrali in termini di spesa, con poco meno dei due terzi di consumatori italiani che fruiscono di questo contenuto a pagamento. Nonostante la maggioranza intenda mantenere costante il budget mensile, la tendenza e di aumentare, seppur in modo contenuto, piuttosto che ridurre la spesa, specialmente nell’ambito informazione e audiolibri.

AI generativa batte metaverso

Il concetto di Web3 rende possibile lo sviluppo di nuove modalità di distribuzione e commercializzazione dei contenuti digitali. Alcuni esempi di impatti tangibili potrebbero essere la ridefinizione del concetto di proprietà digitale, una maggiore tracciabilità e trasparenza nella filiera associate all’idea di equo compenso per i differenti attori, e la creazione di mercati secondari.

L’AI generativa, nel 2023 ha avuto la sua consacrazione, e l’industria dei contenuti digitali si sta interrogando su quale sia il perimetro per il suo utilizzo. Per quanto riguarda il metaverso, si è invece assistito a una riduzione degli investimenti, anche a fronte di un cambio di focus proprio verso il tema dell’AI.

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Lavoro: come presentarsi al colloquio? I consigli degli esperti

Quando si ricerca un impiego, uno degli aspetti più importanti è il colloquio. È un momento fondamentale, che richiede tempo, preparazione e determinazione. poiché rappresenta la prima vera occasione per mettersi in luce agli occhi di un head hunter o un datore di lavoro.
Ma come presentarsi al colloquio in modo adeguato ed efficace, in modo da intercettare le esigenze e le aspettative della persona che abbiamo di fronte?

Seguendo alcuni consigli mirati si può aumentare la possibilità di successo in termini d’assunzione.
Innanzitutto, è importante cercare di conoscere l’azienda presso cui si vorrebbe lavorare. “Bisogna prendersi il tempo per fare qualche ricerca online sulla storia dell’azienda, sulle sue attività e sui prodotti che produce”, spiega Fabio Splendori, fondatore di QuoJobis. In questo modo, si dimostra di essere motivati e interessati al lavoro offerto.

Alla larga da vestiti troppo casual o sportivi

Un altro aspetto estremamente rilevante da tenere a mente è l’abbigliamento. “Può sembrare scontato o irrilevante ma la prima impressione è quella che conta – continua Splendori -. Indossare un abbigliamento curato e professionale può fare la differenza nella percezione che il datore di lavoro avrà del candidato. Non sempre è corretto giudicare il libro dalla copertina, ma viviamo in una società che dà molta importanza all’apparenza e bisogna fare i conti con questo”.

Tenersi dunque alla larga dai vestiti troppo casual o sportivi per scegliere al contrario abiti adeguati a qualunque ambiente di lavoro e in sintonia con il tipo di lavoro che si sta cercando. “C’è anche da dire che la cosa più importante è sentirsi a proprio agio – aggiunge Splendori -, e un recruiter lo percepisce”.

Il valore della puntualità

“Ricordarsi inoltre di essere puntuali è un dettaglio che preferiamo sempre far presente – consiglia l’esperto -. Arrivare con un leggero anticipo al colloquio mostra la propria puntualità e impegno verso il lavoro e ribadisce la volontà di rispettare gli impegni presi”.
Da tenere a mente anche che, al contrario, arrivare con largo anticipo può creare imbarazzo e problemi all’ambiente di lavoro che in quel momento sta accogliendo il candidato per il colloquio.

Utile poi ribadire che durante il colloquio bisogna sempre cercare di mostrare sicurezza e determinazione. “Non si deve avere paura di dire ciò che si pensa e di rispondere alle domande in modo chiaro e preciso – puntualizza -. Evitare di essere troppo reticente o modesto, potrebbe essere un errore”.

Mantenere sempre un atteggiamento positivo ed educato

Insomma, puntualità, presentabilità, sicurezza, gestione dell’ansia e motivazione sono le pillole per riuscire a realizzare un colloquio eccellente.
“Cerchiamo sempre di suggerire ai candidati di mantenere un atteggiamento positivo ed educato – sottolinea ancora l’esperto -. Mostrare gratitudine per la possibilità che viene offerta e ringraziare il proprio interlocutore per il tempo che ha dedicato al colloquio. Anche se l’incontro non va come sperato, meglio fare in modo di rimanere comunque educato e professionale: potrebbero ricordarsi di te proprio per queste qualità”.

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I giovani cercano un lavoro smart e sostenibile. Con più tempo libero

Oltre a carriera e aspetti economici per le nuove generazioni gli aspetti più importanti dell’attività lavorativa sono flessibilità di orari, smartworking, welfare aziendale, possibilità di conciliare i tempi di vita-lavoro e sostenibilità. 
Insomma, il lavoro ideale per i giovani deve garantire il work-life balance declinabile nella possibilità di lavorare da remoto e uno stipendio adeguato. Non solo alle competenze, ma anche coerente con il costo della vita.

Dalle survey del centro ricerche Aidp (Associazione italiana direzione personale) emerge che le dimissioni volontarie hanno riguardato nel 70% dei casi giovani tra 26 e 35 anni. E le motivazioni sono state proprio migliori condizioni di lavoro in termini di flessibilità di orari e modalità di lavoro.

Il lavoro ideale è un’eredità della pandemia

La pandemia ha innescato una sorta di ‘rivoluzione’ nella concezione del lavoro. Riscoprire l’importanza di coltivare relazioni e passioni, anche al di là della vocazione professionale, è un’eredità della pandemia.
“Il tema della conciliazione di tempi ed esigenze tra vita e lavoro è sempre più al centro dell’attenzione, non solo dei giovani”, spiega all’Adnkronos/Labitalia Rosario Rasizza, presidente Assosomm e ad Openjobmetis.

Ma il lavoro ideale per i giovani deve anche garantire “un ambiente di lavoro aperto alle novità, quindi innovativo, tecnologico, in cui i giovani possano sentirsi liberi di esprimere le loro idee senza timore e in cui possano apportare, in maniera pragmatica, un valore aggiunto”, conferma Matilde Marandola, presidente nazionale Aidp.

Più inclusività e responsabilità sociale

Dal canto loro, le aziende mostrano disponibilità nei confronti delle esigenze dei giovani. All’interno delle organizzazioni oggi si ascolta di più.
“Si stanno affermando forme di lavoro sempre più inclusive, socialmente responsabili e sostenibili – continua Marandola -. Gli Hr oggi sono più aperti al dialogo e all’ascolto e credo che questo cambiamento rappresenti, in un’ottica sia sociale sia lavorativa, un’importante svolta”.

E per Rasizza, le aziende “si stanno sempre più allineando, come dimostrano le richieste da parte delle nostre aziende clienti che spesso ci chiedono consulenza in tal senso. Qualche volta, rileviamo qualche resistenza nel prendere in considerazione misure più flessibili e inclusive, ma la strada è ormai segnata lungo questo trend”.

“Oggi sono i candidati a fare un colloquio alle aziende”

“Potremmo quasi dire – sottolinea Rasizza – che oggi sono i candidati, e ancor più se parliamo di giovani, a fare un colloquio ai loro potenziali datori di lavoro. È un segno dei tempi, da non far coincidere necessariamente con una scarsa disponibilità all’impegno e al sacrifico. Per contro, mi piacerebbe vedere una maggiore disponibilità di chi entra nel mercato del lavoro a prendere in considerazione opportunità magari non perfettamente in linea con i propri studi o i propri sogni: a volte, serve un po’ di coraggio e di apertura mentale nel costruirsi esperienze che saranno comunque in grado di fortificare hard e soft skill”.

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Il digitale fa bene alla lettura. Lo dicono gli italiani 

Che sia in formato cartaceo, in digitale o un audiolibro gli italiani abituati a leggere libri sono il 49,6% della popolazione. E se la propensione maggiore è ancora per ‘la carta’ (43%) rispetto ai formati digitali (22,3%) e gli audiolibri (11%), quattro italiani su dieci leggono libri su due o più formati.
Inoltre, un lettore italiano su due dichiara di leggere di più grazie alle librerie online. E per sette italiani su dieci il web facilita la scoperta di nuovi titoli e autori.

È quanto emerge dal report NetRetail Books, lo studio su abitudini di lettura e acquisti digitali di libri degli italiani, realizzato da Netcomm, il Consorzio per il Commercio Digitale Italiano, con il supporto di Amazon, e presentato alla Nuvola dell’Eur alla manifestazione Più libri più liberi.

I lettori forti sono over65 e under25

Inoltre, due lettori su tre pensano che i negozi online e le librerie fisiche siano complementari, ma la quota di lettori è decisamente più elevata tra le donne (55% vs 44,2% uomini), e le fasce d’età con maggiore propensione alla lettura sono rappresentate dagli over 65 (53,8% di lettori) e gli under 25 (52,4%).

In particolare, in queste due fasce sono presenti i cosiddetti lettori forti, ovvero quelli che leggono più di 11 libri in un anno, corrispondenti all’8% della popolazione.
Inoltre, i lettori che più si affidano ai canali online per informazioni di lettura sono di età compresa tra 25 e 44 anni.

L’e-commerce aiuta a scoprire le novità

In particolare, chi ha tra 24 e 34 anni indica come primo touchpoint i suggerimenti trasmessi da booktoker e influencer, mentre chi ha tra 35 e 44 usa più i motori di ricerca per scoprire nuovi titoli e autori.

La rilevanza dell’e-commerce per la scoperta di novità editoriali cresce con la propensione alla lettura. Per i lettori forti è il secondo touchpoint (28,8%) dopo le raccomandazioni di amici e conoscenti (44,2%), ma prima dei contenuti social di influencer e BookTokers (25,2%), vetrine (25,2%) e recensioni online (24,5%).
Ma anche per il 37,1% di lettori che acquistano solo in negozi fisici i canali online rappresentano un punto di riferimento importante per la scelta del libro.

Meglio acquistare online o in libreria?

In generale, per il 63,7% dei lettori italiani i negozi online sono complementari alle librerie, ma più il lettore è forte più è propenso a utilizzare formati diversi.
Tra coloro che usano un solo tipo di formato, quelli che leggono solo eBook leggono più frequentemente, a conferma che il canale digitale supporta la domanda di lettura dei lettori forti.

Ma più le persone leggono più acquistano libri differenziando i canali (online e offline). Infatti, oltre il 70% dei lettori forti ha un approccio multicanale all’acquisto, e negli ultimi 12 mesi quasi il 60% degli acquirenti ha acquistato sia in negozio sia online. Il 46,4% della popolazione online, invece, ha acquistato almeno un libro in un negozio fisico e il 46,8% almeno un libro online.

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Benessere Psicologico: nelle aziende il 76% ha sperimentato il burnout

Emerge dalla ricerca BVA Doxa commissionata da Mindwork: il 76% dei lavoratori e lavoratrici ha sperimentato almeno un sintomo del burnout, il 14% in più rispetto al 2022.
Il sintomo più diffuso, tra sensazione di sfinimento, calo dell’efficienza lavorativa, aumento del distacco mentale, cinismo rispetto al lavoro, è la sensazione di sfinimento, mentre per la GenZ, nello specifico white collar, è più frequente il calo dell’efficienza lavorativa (56%).

Ad avere ricevuto l’effettiva diagnosi di burnout è una persona su 5.
Tuttavia, è diffusa la difficoltà ad assentarsi dal lavoro per prendersi cura di sé, specialmente tra i e le blue collar. Solo il 19% ha effettuato più di 5 giorni di assenza dal lavoro a causa di questo fenomeno. La percentuale sale invece per white collar (55%) e dirigenti (62%).

Quando lavorare fa male

Il 58% di chi sperimenta malessere psicologico nella propria vita personale vive la stessa condizione anche al lavoro e viceversa. In particolare, una persona su 2 dichiara soffre di ansia e insonnia per motivi legati al lavoro.
Inoltre, una persona su 2 sperimenta condizioni di stress elevato. Un dato ancora più critico per i e le dirigenti (61%).
Purtroppo, sempre in continuità con i dati 2022, l’ambiente di lavoro si conferma come meno adatto a esprimere il proprio malessere rispetto al contesto familiare (41%).
Più della metà degli intervistati afferma di aver lasciato il lavoro per motivi di malessere emotivo a esso correlato (54%), fenomeno in evidenza per Gen Z e Millennials, in cui la percentuale aumenta rispettivamente del 66% e del 59%.

L’impresa dovrebbe promuovere il benessere psicologico

Oltre 9 persone su 10 ritengono quindi essenziale la promozione del benessere psicologico da parte dell’azienda (96%), ma nel 67% delle organizzazioni italiane il servizio di supporto psicologico non è presente.
Dove disponibile, viene valutato positivamente dal 51% dei lavoratori e delle lavoratrici appartenenti alla categoria blue collar.
In notevole crescita anche la quota di persone che valuterebbero positivamente la messa a disposizione del servizio di supporto psicologico (73%), più precisamente relativamente ai white collar (76%) e blue collar (79%).

Manca supporto per chi ha figli

Dato indicativo quello riguardante i e le caregiver, il cui 88% dichiara che questo ruolo ha un impatto considerevole sul proprio benessere psicologico. Sei su 10 dichiarano la necessità di supporto da parte dell’impresa nella gestione del proprio ruolo (59%), sebbene solo il 20% lo riceva.
Allo stesso modo, per l’89% di lavoratori e lavoratrici con figli il ruolo genitoriale ha un impatto significativo sul proprio benessere psicologico.
Più precisamente, 1 genitore su 2 riferisce il bisogno di supporto da parte dell’azienda nella gestione dei propri figli (48%).
Tuttavia, solo il 25% ritiene di riceverlo.

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Generazione Z: i giovani e il sogno della casa di proprietà

I ragazzi della Generazione Z, ovvero i nati fra gli anni 90 e i primi 2000, hanno ancora il mito della casa di proprietà. Lo rivela una recente indagine condotta dal Gruppo Gabetti in collaborazione con la società di ricerche Toluna. Si scopre così che il 38% dei giovani tra i 20 e i 30 anni ha l’intenzione di acquistare un’abitazione nei prossimi cinque anni. 

Acquisto o affitto?

All’interno della Gen Z, circa il 40% dei giovani desidera possedere una casa, mentre il 27% preferisce l’affitto. In generale, il potenziale acquirente “tipo” ha tra i 25 e i 30 anni, un lavoro stabile e convive già.
Al contrario, chi opta per l’affitto tende ad avere un’età inferiore (20-24 anni), studia ancora e vive con i genitori o coinquilini.

Come si ricerca la casa perfetta

La maggior parte dei giovani ha già iniziato a cercare la sua futura dimora. Il 47% degli appartenenti alla Generazione Z controlla le offerte online, il 40% condivide i propri progetti e desideri con amici e parenti, mentre il 38% si concentra soprattutto sulle possibilità di spendere meno.  In questo contesto, i canali digitali giocano un ruolo predominante nella ricerca della proprietà ideale.

Il 65% degli intervistati utilizza siti web o app specializzate, canali digitali di agenzie immobiliari, blog e gruppi sui social. Il 60% si affida ai consigli e alle raccomandazioni di amici e familiari, mentre il 46% si basa sui canali tradizionali, come agenzie immobiliari, pubblicità, annunci e cartelloni.

Il ruolo delle agenzie immobiliari

Nel caso delle agenzie immobiliari, lo studio ha dimostrato che esse sono fondamentali, soprattutto per chi ci ha già avuto a che fare (52% contro il 35%). Le agenzie rappresentano il canale principale per l’ingresso nel mercato immobiliare, specialmente tra i giovani interessati all’acquisto rispetto a coloro che preferiscono l’affitto (38% e 32% rispettivamente).
La percezione dell’agente immobiliare è quindi più che positiva, anche perchè i giovani acquirenti riconoscono ai professionisti il ruolo di facilitatori nel processo d’acquisto, prestando particolare attenzione agli aspetti burocratici e all’assistenza legale.

La necessità di rapporti reali 

Nonostante il canale digitale sia solitamente considerato più rapido e agevole per le operazioni immobiliari, la maggioranza dei giovani (60%) ha espresso il desiderio di avere un contatto diretto con un agente esperto.
I potenziali acquirenti cercano una relazione con un professionista serio, affidabile, empatico e in grado di comprendere le loro esigenze.

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Imprese familiari: formazione necessaria per rimanere sul mercato

Sette imprese familiari su dieci stanno investendo in formazione nel periodo compreso tra il 2022 e il 2024, e hanno già fatto altrettanto nel triennio precedente alla pandemia. Questo impegno mira a sviluppare le competenze dei dipendenti e ad affrontare con successo le sfide dei cambiamenti in corso. Tra i giovani imprenditori, la propensione a investire nel capitale umano è particolarmente elevata, con il 73% di loro che sta dedicando risorse alla formazione. Al contrario, le donne alla guida di aziende (66%) e le piccole imprese (65%) faticano di più a investire in formazione, anche se avrebbero maggiormente bisogno di sviluppare le competenze dei loro dipendenti per affrontare le sfide del cambiamento. Tuttavia, in generale, la percentuale di imprese familiari che investono in formazione sia nel periodo 2017-2019 che nel 2022-2024 è inferiore rispetto alle imprese non familiari (rispettivamente il 69% contro il 77%).

Un’analisi su 4.000 aziende

Questi dati emergono dal rapporto “Strategie e politiche di formazione nelle imprese familiari”, condotto da ASFOR, il Centro Studi Guglielmo Tagliacarne e la CUOA Business School su un campione di 4.000 imprese, di cui 3.000 nel settore manifatturiero e 1.000 nei servizi, con un numero di dipendenti compreso tra 5 e 499. Il rapporto comprende anche l’analisi di 10 casi di successo di imprese familiari e è stato presentato a Roma nell’ambito dell’evento “Il capitale umano e strategie nelle imprese familiari” in collaborazione con Unioncamere. Il presidente del Centro Studi Tagliacarne, Giuseppe Molinari, sottolinea l’importanza dell’investimento nel capitale umano per sostenere la crescita delle imprese familiari, che costituiscono l’89% del tessuto produttivo italiano. La formazione può contribuire ad aumentare le competenze necessarie per gestire i cambiamenti e l’innovazione.

Investimenti per migliorare competenze esistenti e nuove

Il rapporto rivela che il 66% delle imprese familiari ha investito o continuerà a investire nella formazione per migliorare le competenze tecniche e professionali esistenti (up-skilling), mentre il 52% punterà allo sviluppo di nuove competenze tecniche e professionali (re-skilling). Solo il 35% delle imprese sta programmando corsi per migliorare la responsabilizzazione, l’intraprendenza e l’innovazione delle risorse umane (intrapreneurship), e solo il 25% intende migliorare le competenze manageriali per gestire nuovi modelli di business. Tuttavia, il livello di istruzione dell’imprenditore sembra influenzare la propensione all’investimento in formazione, con il 78% delle imprese guidate da laureati che investono in formazione.

L’80% delle imprese si autofinanzia 

Per finanziare i percorsi formativi, l’80% delle imprese familiari si affida all’autofinanziamento, mentre solo il 29% utilizza i fondi regionali e il 23% i fondi interprofessionali.
Tuttavia, nel Mezzogiorno e tra gli imprenditori under 35, c’è una maggiore consapevolezza dell’importanza di investire nella formazione orientata al cambiamento. Queste imprese mostrano un interesse maggiore nell’intrapreneurship e nella formazione manageriale per nuovi modelli di business rispetto alle imprese del Centro-Nord.

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Nei primi 6 mesi del 2023 sono 200mila le offerte di lavoro

Sono quasi 200.000 le offerte da parte delle aziende italiane nel primo semestre dell’anno. A rilevarlo è InfoJobs, che ha realizzato il nuovo Osservatorio InfoJobs sul mercato del lavoro – Primo semestre 2023. Il mondo del lavoro si conferma quindi dinamico e propositivo. A crescere e a evolvere è anche il modo in cui le aziende cercano nuove risorse, con modalità sempre più legate alla ricerca proattiva e alla consultazione dei cv che i candidati caricano in piattaforma.
In cima alla classifica delle regioni con maggior numero di offerte di lavoro svetta ancora una volta la Lombardia (31%), e confermate anche le medaglie d’argento per l’Emilia-Romagna (18%) e il bronzo per il Veneto (13,5%). Il Piemonte (9%) è stabile al quarto posto, mentre il Lazio è al quinto (6,2%).

Ricerche sempre più mirate

In generale, nei primi sei mesi dell’anno in corso, InfoJobs ha registrato un atteggiamento delle aziende sempre più propenso alla ricerca mirata di candidati in database, tanto che sono stati oltre 60.000 i cv scaricati (+23,7% vs 2022) e di conseguenza i professionisti contattati direttamente dalle aziende dopo avere consultato la piattaforma scaricando i cv.
Una soluzione che attesta un crescente entusiasmo, perché scelta dal +10,8% delle aziende rispetto allo stesso periodo dell’anno passato.

Milano resta in testa a livello nazionale

Nel primo semestre 2023 sono state oltre 1.600.000 le ricerche da parte delle aziende di professionisti, a prescindere dagli annunci pubblicati. Tra le categorie professionali che hanno ricevuto maggior interesse da parte delle aziende al primo posto, come nel 2022, Operai, Produzione, Qualità (16,4%), seguita da Amministrazione, Contabilità, Segreteria (7,5%), Acquisti, Logistica, Magazzino (6,2%), Commercio al dettaglio, Gdo, Retail (5,1%), Informatica, It e Telecomunicazioni (4,7%).
A livello nazionale, dal punto di vista delle province Milano resta in testa (11,4%), Roma supera Torino (al terzo posto con il 5% del totale nazionale) e si posiziona al secondo posto (5,3%).
A emergere nella top 10 tra le province in crescita rispetto al 2022 è Treviso, che conquista l’ottavo posto (+3,4%) e raccoglie il 3% delle offerte nazionali.

Le professioni più cercate

La categoria professionale più cercata si conferma quella che racchiude Operai, Produzione, Qualità (30,5%), seguita da Acquisti, Logistica, Magazzino (9%) a pari merito con Commercio al dettaglio, Gdo, Retail, Amministrazione Contabilità Segreteria (8,5%) al terzo posto.
Chiudono la top 5 Turismo e Ristorazione (5,9%), che denota la crescita maggiore (+7,5% rispetto al 2022). Le categorie professionali si rispecchiano anche nel dettaglio delle professioni più cercate su InfoJobs in questi primi sei mesi dell’anno, che sono Magazziniere, Addetto vendita, Agente di commercio, Manutentore elettromeccanico, Operatore della produzione alimentare, Specialista di back office, Addetto pulizia camere, Operatore di macchine cnc, Addetto alla fatturazione e Assistente amministrativo.

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