Social Media, la metà della popolazione del mondo li usa

Social Media, croce e delizia delle nostre giornate. Per moltissimi di noi, infatti, i social sono la principale fonte di comunicazione, informazione, intrattenimento e pure lavoro. Fatto sta che in occasione del Social Media Day, che cade il 30 di giugno, si scopre che poco meno della popolazione mondiale li utilizza. Ma la giornata è stata anche il momento per fare il punto su questo fenomeno incredibile e ripercorrerne le tappe.

Il primo fu Friendster

Come ricorda il sito specializzato americano Mashable, che ha lanciato il Social Media Day nel lontano 2010, la prima piattaforma di social media è stata Friendster nel 2002, poi è arrivato Linkedin nel 2003 e Facebook nel 2004 che ha sbaragliato.L’aggiunta più recente all’elenco dei pesi massimi dei social media è TikTok. L’app è stata lanciata nel 2016, ricorda Ansa, ed è diventata popolare soprattutto tra i giovani grazie alle sue funzionalità di musica e video.

4,6 miliardi di persone utilizzano le piattaforme social

Secondo una statistica di SmartinsIghts oltre la metà della popolazione globale usa i social media (il 58,4%, pari a 4,62 miliardi di persone), l’utilizzo medio giornaliero è di 2 ore e 27 minuti. Queste piattaforme sono però diventate un grimaldello per i cybercriminali per risalire alle abitudini degli utenti e alle password usate. Per questo gli esperti della società di sicurezza Yoroi consigliano di limitare la condivisione di informazioni personali, usare email, login e password diverse per i differenti servizi che usiamo, costruire password lunghe, robuste e complesse senza riferimento a hobby, passioni e residenza.

Un impatto incredibile

I social media non solo connettono le persone con la famiglia e gli amici, ma per molte persone rappresentano un lavoro a tutti gli effetti. L’impatto socio-economico e culturale dei social media sulla società e sull’economia è stato impressionante e il Social Media Day riconosce questo potere. Un altro motivo per cui Mashable ha lanciato la giornata mondiale dei social è per dimostrare l’apprezzamento che queste piattaforme hanno e hanno avuto sulle comunicazioni in tutto il mondo. Nonostante tutte le preoccupazioni associate ai social media, è una dato di fatto che le piattaforme più utilizzate hanno dato voce alle persone comuni e hanno dato speso l’opportunità di informare “dal basso” l’opinione pubblica. Non è tutto negativo, quindi: e la giornata ricorda che è importante celebrare ciò che c’è di bello nell’universo social, cominciando banalmente a scoprire le potenzialità della piattaforme senza pregiudizi.

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Italiani e cibo sano, sei su 10 coltivano l’orto

Gli italiani si scoprono fan dei prodotti di stagione: e così, nonostante gli impegni della vita quotidiana, si impegnano a cercare ingredienti sani e stagionali, anche e soprattutto da abbinare all’immancabile pasta. Per aiutare questi estimatori della vita cucina mediterranea, l’Unione Pastai Food ha realizzato la guida, scaricabile dal sito web, Pasta Quattro Stagioni, redatto dalla scrittrice green Stella Bellomo. “La pasta è il complemento perfetto per chi vuole mangiare in modo sostenibile e con ingredienti di stagione, afferma Riccardo Felicetti, Presidente dei Pastai Italiani. Abbiamo per questo deciso di condividere in questa guida le potenzialità della pasta andando oltre le soluzioni più note. Pasta Quattro Stagioni apre una porta, attuale e non scontata, su una dimensione sempre più attuale della Dieta Mediterranea, alleata del nostro benessere. Agli italiani il compito di esplorare questo “spazio” e aiutarsi con la fantasia per cucinare primi piatti sempre più vari, salutari e appetitosi”.

Uno stile di vita sostenibile

La ricerca di uno stile di vita sostenibile, rispettoso dell’ambiente e dei cicli del nostro pianeta, è un fenomeno in rapida crescita. Sei italiani su dieci coltivano l’orto – urbano, condiviso, nel terrazzo o nel giardino di casa, ma è solo una parte di un fenomeno più ampio che include il piacere di mangiare in modo semplice, di stagione, magari con gli avanzi del giorno prima, proprio come facevano le nonne. Secondo un sondaggio di We Love Pasta su un campione di cinquemila persone, l’80% mette nel carrello della spesa prodotti sostenibili, il 60% sceglie sempre frutta e verdura di stagione e il 25% prova a farlo. La pasta è perfettamente coerente con la ricerca quotidiana della naturalità: parliamo di un prodotto della terra, facile da conservare e cucinare, sempre più amato dagli italiani e amico dell’ambiente, con un impatto ecologico dal campo alla tavola minimo rispetto ad altri alimenti (meno di 1m2 globale a porzione e appena 150 grammi di CO2). E la mangiamo tutto l’anno, in media 3-5 volte a settimana.

Mangiare sano è fondamentale per la salute

Mangiare di stagione è cultura (la triade cereali-legumi-ortaggi ci ha nutrito per millenni), economia (perché acquistare una verdura nel momento di massima produzione costa di meno) e, soprattutto, benessere, perché mangiare un alimento nella sua stagione garantisce gusto e proprietà nutrizionali al top. Inoltre, un’alimentazione varia, curiosa e colorata, come quella di stagione, fa anche bene alla mente. Uno studio giapponese pubblicato su Geriatrics and Gerontology International ha dimostrato che un’alimentazione monotona, come è spesso quella degli anziani, è correlata con il declino cognitivo. La pasta è perfetta per (ri)scoprire questa varietà nel segno del gusto. Un piatto di fusilli è una scorciatoia per convincere adulti, bambini e adolescenti a mangiare più verdure, smussandone l’amaro o l’acido che le contraddistinguono in purezza.

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L’AI e la banca digitale del futuro

Dalla digital transformation alla digital coopetition la meta per le banche italiane è la speedboat bank, e il processo verso cui stanno transitando le banche italiane ha come volano primario l’AI. Secondo la ricerca Dalla digital transformation alla digital coopetition di Excellence Consulting sono pochi i clienti bancari che si ritengono soddisfatti dei servizi digitali della propria banca. Per l’implementazione di servizi finanziari innovativi, la quasi totalità dei clienti crede che l’AI potrebbe essere determinante, e più della metà considera importante la costruzione di ecosistemi di servizi in partnership con altre fintech, mentre per il 25% sarà decisiva la tokenizzazione degli asset finanziari.

Puntare su applicazioni di core banking di nuova generazione

Le banche tradizionali dopo un decennio di investimenti in digital transformation, soprattutto tramite applicazioni digitali che simulano processi analogici, sono spesso deluse dai risultati ottenuti. In Italia poi numerose banche condividono i loro sistemi di core banking gestiti da aziende consortili. La tendenza del top management, più che costruire la strategia digitale in partnership con i fornitori dei sistemi centrali, è lanciare nuove banche digitali appoggiandosi su piattaforme di mercato innovative, e su di esse costruire il futuro. Questo, puntando su applicazioni di core banking di nuova generazione, con l’obiettivo di convertire successivamente gli attuali sistemi legacy.

Verso la speedboat bank

Negli Usa queste banche sono chiamate speedboat bank. La loro offerta, sviluppata inizialmente per servire una nicchia di clienti, successivamente potrà essere estesa a fette sempre più larghe di clientela, finché la nuova banca digitale diventerà l’organizzazione prevalente all’interno dell’organizzazione della banca tradizionale. Sebbene il 56,6% degli intervistati da Excellence Consulting affermi che le banche digitali abbiano raggiunto un buon livello di digitalizzazione, solamente il 20% degli over 30 e nessuno degli under 30 è pienamente soddisfatto dai servizi digitali ricevuti. C’è quindi un margine di crescita e intervento, in particolare circa la fascia di popolazione più giovane. Emerge quindi l’importanza dell’AI per tratteggiare le caratteristiche della banca digitale del terzo millennio. Il 92% degli intervistati reputa infatti l’AI determinante per l’implementazione di servizi finanziari innovativi. E per il 51% sarà molto importante che tali banche sappiano costruire modelli di offerta basati su ecosistemi di servizi che prevedano anche la partnership con altre fintech.

L’alba di una nuova fase di digitalizzazione

“Possiamo considerarci all’alba di una nuova fase di digitalizzazione dell’industria bancaria – dichiara Maurizio Primanni, ceo Excellence Consulting -. Abbiamo oramai superato la fase della digital transformation e stiamo entrando a pieno titolo in una nuova fase di mercato, che possiamo definire di digital coopetition, in cui operatori tradizionali e innovativi si confronteranno, ma spesso anche collaboreranno, per lo sviluppo di nuovi servizi finanziari digitali. L’utilizzazione sistematica delle tecniche di data science & analytics e dell’AI permetterà alle banche digitali di nuova generazione di superare il limite di un approccio commerciale troppo passivo, per potere proporsi alla loro clientela target in modo sempre più proattivo, con chatbot e avatar che proporranno ai clienti soluzioni personalizzate”.

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In Italia aumentano le imprese agricole guidate da giovani

I giovani imprenditori italiani stanno scoprendo, o meglio riscoprendo, l’agricoltura. Tanto che aumentano gli investimenti in questo senso e le opportunità di avere supporto per realizzare nuove imprese. La percezione di come stia evolvendo questo settore proviene dalla V edizione della Banca nazionale delle Terre Agricole. Venendo ai numeri, lo stock di aziende agricole a conduzione giovanile iscritto ai registri camerali è passato dalle 52.388 nel 2016 alle 56.172 di fine 2021, con un picco nel 2018 dove si è superato il numero di 57.600. 

Crescono le aziende “under”

Mediamente nel periodo considerato si è registrata una crescita dello stock di aziende ‘giovani’ dello 0,4% annuo, sintesi dell’ottimo andamento del 2017 e 2018 (rispettivamente +5,6% e +4,1%). Lo rileva l’Ismea nel fare il punto con l’Adnkronos, sottolineando però che nello stesso arco temporale, invece, il numero complessivo di aziende agricole si è ridotto a un ritmo dello 0,7% all’anno, portando la quota di imprese condotte da giovani al 7,7% rispetto al 6,9% del 2016. Per quanto riguarda le aggiudicazioni della Banca delle Terre Agricole, rileva ancora l’Ismea, ben il 75% di queste viene effettuata a favore di giovani agricoltori. La Banca nazionale delle Terre Agricole è uno strumento che pur non essendo rivolto esclusivamente ai giovani, vede un’alta partecipazione da parte degli under 41, grazie alla possibilità a loro riservata di pagare il prezzo del terreno ratealmente, per un periodo massimo di 30 anni. Finora ha rimesso in circolo 349 terreni per un totale di oltre 13 mila ettari aggiudicati.

I numeri della Banca nazionale delle Terre Agricole nel 2022

L’ultima edizione della Banca delle Terre Agricole è stata costituita da oltre 19.487 ettari per un totale di 801 aziende agricole potenziali. Il valore a base d’asta complessivo del lotto raggiunge oltre 283 milioni di euro. I terreni di questo quinto lotto sono attualmente destinati a seminativi per quasi la metà degli ettari disponibili accanto a un 22% costituito da prati e pascoli, e a un 30% suddiviso tra boschi, uliveti, agrumeti, vigneti e frutteti. La Sicilia da sola concentra il 33% delle superfici complessive. Seguono Sardegna e Basilicata con il 12% degli ettari, Toscana (11%), Puglia (9%), Calabria (6%), Emilia Romagna (5%) e Lazio (4%). Il restante 8% è distribuito nelle altre Regioni. Per quanto concerne le assegnazioni, è interessante notare che il fatto che degli 801 terreni in vendita, 380 sono al primo tentativo di vendita, 267 al secondo tentativo, 60 al terzo e 94 al quarto. Ad eccezione dei terreni al quarto incanto, ciascun tentativo di vendita si tiene ad un prezzo base ridotto di un quarto rispetto al valore fissato per il tentativo precedente. In questo caso, sono ammesse solamente offerte libere in rialzo rispetto al valore a base d’asta.

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Calano di numero, ma non trovano lavoro: è il “paradosso giovani”

Senza un dialogo strutturale fra scuola e imprese e nuove politiche di accompagnamento nelle fasi di transizione, non si riuscirà a garantire alle nuove generazioni un’offerta di lavoro non precario. E nonostante i giovani italiani continuino a diminuire numericamente, non riescono a trovare lavoro: è il cosiddetto ‘paradosso giovani’. È quanto emerge da un dibattito relativo all’ultimo numero dell’Osservatorio Cida-Adapt dedicato al lavoro giovanile. “L’Osservatorio trimestrale sul mondo del lavoro – spiega Mario Mantovani, presidente di Cida, confederazione dei dirigenti pubblici e privati – nasce dall’esigenza di una lettura non convenzionale dei dati statistici per avere una visione delle dinamiche occupazionali più aderente alla realtà e fornire ai manager uno strumento utile ai loro processi decisionali e organizzativi”.

Dal 2010 al 2020 circa un milione in meno di 25-34enni

“In 10 anni, dal 2010 al 2020, la coorte dei 25-34enni è diminuita di circa un milione di unità – ribadisce Mantovani -. Una tendenza che non sembra arrestarsi e che, comunque, può essere invertita solo in un lungo arco di tempo. Normalmente, meno giovani domandano lavoro, più dovrebbe essere facile trovarlo. È qui che troviamo il ‘paradosso’ del lavoro giovanile, visto che il nostro tasso di occupazione in quella fascia d’età è troppo basso nel confronto con i partner europei: insomma i giovani diminuiscono, ma l’attuale mercato del lavoro non riesce ad assorbirli. Lavoro giovanile scarso e anche caratterizzato da un’alta incidenza di contratti a termine che tende a renderlo sostanzialmente precario e poco pagato”.

Dati realistici su disoccupazione e precariato

“I dati – aggiunge Mantovani – una volta ‘spacchettati’ e analizzati mostrano, ad esempio, la scarsa affidabilità delle ‘medie’ statistiche, poco adatte a leggere una realtà molto differenziata sul territorio. Nell’Osservatorio ci si è concentrati sulla fascia d’età 25-34 anni, perché in quella precedente, 15-24 anni, l’incidenza di chi studia è troppo alta per poterne ricavare dati realistici su disoccupazione e precariato”.

I numeri indicano le strade da seguire

“Come Cida – sottolinea Mantovani – esortiamo il decisore politico a intervenire su queste basi, su questi dati rappresentativi di una realtà che spesso sfugge a un’analisi superficiale. I numeri indicano le strade da seguire: riallacciando il dialogo fra scuola e lavoro, gestendo le fasi di transizione, investendo sulla formazione continua che deve accompagnare tutto l’arco della vita lavorativa. Come manager, siamo consapevoli di quanto sia importante la qualità del lavoro che va perseguita investendo sulle risorse umane e che va adeguatamente retribuita. Anche quello delle retribuzioni, infatti, è un tema che va messo al centro di quel ‘patto sociale’ proposto dal Governo: l’Italia non può essere un Paese ‘low cost’ con lavoro poco qualificato, sostanzialmente privo di formazione, distante dal mondo dell’università e della ricerca e poco retribuito”.

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Il carrello della spesa è tricolore, e ha le bollicine

La sovranità alimentare guadagna spazio nel carrello della spesa. Ormai un prodotto alimentare su quattro acquistato nei supermercati o ipermercati nazionali è connotato in etichetta come italiano. Si tratta di oltre 22mila referenze, che in un anno hanno aumentato le vendite del +1,8%, incassando oltre 8,7 miliardi di euro. E sono soprattutto vini e spumanti a trainare l’aumento delle vendite, a partire dalle bottiglie Docg. Lo rivela la decima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, che ha analizzato le informazioni riportate sulle confezioni di oltre 125mila prodotti di largo consumo.

Un diffuso ‘segnale’ di identità
La bandiera italiana è il più diffuso ‘segnale’ di identità nazionale: presente sulle etichette di 13.266 prodotti alimentari, per un giro d’affari complessivo che sfiora i 5 miliardi di euro (+0,2%), ha visto aumentare le vendite soprattutto di pizze surgelate, patatine, arrosti affettati e bevande a base di tè.
Birre, arrosti affettati, ricotta, acqua minerale naturale e pomodori trainano invece le vendite dei 6.688 prodotti alimentari che si dichiarano in etichetta ‘100% italiano’, e che hanno realizzato 3,5 miliardi di euro di giro d’affari (-0,3%). Le 6.945 referenze alimentari che vengono presentate in etichetta con il claim ‘prodotto in Italia’ hanno, invece, realizzato 1,5 miliardi di euro. Le performance migliori? Quelle del pesce preparato panato surgelato e i secondi piatti surgelati.

Vini Docg: +17,1%
Ma a brillare è stata soprattutto la Docg, trainata dalla domanda di prosecco, vini e spumante classico. In un anno, gli 877 vini a Denominazione di origine controllata e garantita hanno aumentato il giro d’affari del +17,1%, superando 273 milioni di euro.  Vini e spumanti hanno determinato l’aumento delle vendite dei 1.861 prodotti Doc (+9,1%, oltre 466 milioni di euro), e quelle dei 793 prodotti Igt, che hanno incassato oltre 163 milioni di euro (+3,0%). Speck e bresaola affettati, patate, cipolle rosse e piadina sono stati invece i prodotti più performanti tra i 1.083 contrassegnati Igp, arrivati a oltre 432 milioni di euro di vendite (+3,8%).

Tipicità territoriali: +5,4%
Il valore dell’italianità alimentare è sempre più spesso declinato in tipicità territoriale e comunicato in etichetta specificando il nome della regione da cui il prodotto proviene. Nei 12 mesi le vendite di questi 9.429 prodotti registrano un +5,4% e superano i 2,6 miliardi di euro, portando così i prodotti alimentari connotati come regionali a generare l’8,2% del fatturato di tutto il mondo alimentare rilevato, rappresentando il 10,8% delle referenze totali. Nella classifica delle regioni più segnalate sulle etichette quella con il maggior numero di prodotti a scaffale è il Piemonte, seguita da Toscana e Sicilia. La regione con il maggior giro d’affari in GDO resta il Trentino-Alto Adige, davanti a Sicilia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto. Mentre Lazio (+17%), Puglia (+16,6%) e Veneto (+15,5%) sono le tre regioni che hanno registrato i maggiori tassi di crescita annui delle vendite.

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Scarsità dell’acqua: gli italiani sono più consapevoli  

Il 22 marzo cade la Giornata Mondiale dell’Acqua, e in occasione dell’evento mondiale Ipsos ha realizzato un’indagine per Finish al fine di comprendere la consapevolezza degli italiani in merito al problema della scarsità di acqua, le percezioni relative al proprio consumo di acqua e i principali comportamenti sostenibili per ridurne lo spreco. E dall’indagine Ipsos, sembra aumentare, soprattutto tra i giovani, la presa di coscienza sul problema della scarsità di acqua, mentre diminuisce la quota di quanti ritengono che la disponibilità d’acqua non sia un problema attuale. Ma soltanto 1 italiano su 2 è cosciente del maggior consumo personale rispetto agli altri Paesi europei. 

Dati leggermente più incoraggianti rispetto a un anno fa

Dall’indagine Ipsos emerge che rispetto all’anno scorso è aumentata tra gli italiani la consapevolezza relativa al problema della scarsità dell’acqua: il 25% tra gli adulti (+4% vs 2021) e il 31% tra i giovani (+15% vs 2021). Inoltre, diminuisce anche la quota di quanti ritengono che la disponibilità d’acqua non sia un problema attuale, passata dal 9% nel 2021 al 7% nel 2022, oppure che sia un problema solamente di specifiche aree e in specifici momenti dell’anno (68% nel 2022 vs 70% nel 2021). Al tempo stesso, nonostante i dati leggermente più incoraggianti rispetto a quanto rilevato l’anno scorso, gli italiani rimangono tra i più spreconi d’Europa.

In Italia si consumano 220 litri al giorno

Infatti solo 1 italiano su 2 è cosciente del maggior consumo personale rispetto agli altri Paesi europei (220 litri in Italia vs 165 litri di media europea), ma anche questo dato è in crescita, passando dal 48% del 2019 al 54% del 2022. Inoltre, il 68% ritiene che il consumo per famiglia sia inferiore ai 100 litri giornalieri (vs i 500 litri reali). Tra i principali comportamenti virtuosi, messi in campo dagli italiani per ridurre il proprio impatto su consumo e spreco di acqua, rientrano chiudere il rubinetto quando non necessario e utilizzare la lavastoviglie solo a pieno carico (73%), preferire la doccia alla vasca (67%) e fare docce più brevi (49%).

È ancora la meno controllata dagli italiani

Relativamente ai consumi, dai risultati dell’indagine Ipsos l’acqua si dimostra ancora la meno controllata dagli italiani, con un trend in linea con gli anni passati: il 40% degli intervistati dichiara di controllare sempre il consumo di energia elettrica, il 38% quello di gas e soltanto il 32% si preoccupa del consumo di acqua. In ogni caso, secondo la scala del World Resources Institute, entro il 2040, l’Italia sarà in una situazione critica di stress idrico, e in merito a questa previsione, il 76% dei cittadini ritiene il dato veritiero, mentre per il 17% dei giovani si tratta di dati infondati. 

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Fatturato dei servizi, ancora difficoltà per turismo e ristorazione

Il settore dei servizi ha dovuto affrontare grandi difficoltà legate alla pandemia, e gli effetti si fanno ancora sentire. Lo certifica l’Istat e lo conferma l’Ufficio Studi Confcommercio in base ai dati diffusi dall’Istituto di Statistica  sul fatturato dei servizi nel quarto trimestre del 2021. 

I dati Istat

Nel quarto trimestre 2021 l’indice destagionalizzato del fatturato dei servizi cresce del 2,1% rispetto al trimestre precedente; l’indice generale grezzo registra un aumento, in termini tendenziali, del 13,6%.

Nel quarto trimestre 2021 si evidenzia una crescita congiunturale in quasi tutti i settori. Incrementi si registrano per le Agenzie di viaggio e i servizi di supporto alle imprese (+4,7%), per i Servizi di informazione e comunicazione (+3,4%), per il Commercio all’ingrosso, commercio e riparazione di autoveicoli e motocicli (+2,3%), per il Trasporto e magazzinaggio (+1,4%) e per le Attività professionali, scientifiche e tecniche (+0,8%). Si registra una diminuzione solo per le Attività dei servizi di alloggio e ristorazione (-1,0%).

L’indice del fatturato dei servizi nel quarto trimestre 2021 registra variazioni tendenziali positive in tutti i settori. Aumenti consistenti contraddistinguono le Attività dei servizi di alloggio e ristorazione, con una crescita dell’81,3%, il Trasporto e magazzinaggio (+25,6%), le Agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese (+12,7%) e il Commercio all’ingrosso, commercio e riparazione di autoveicoli e motocicli (+10,0%). L’incremento è più contenuto per i Servizi di informazione e comunicazione (+8,1%) e per le Attività professionali, scientifiche e tecniche (+5,3%).

Il commento di Confcommercio

Il settore dei servizi, in linea con quanto era già emerso da altri indicatori, ha chiuso il 2021 in forte rallentamento. I dati testimoniano i ritardi nel recupero dei livelli di attività pre-crisi sia dei servizi di alloggio che di ristorazione, le cui dinamiche appaiono decrescenti anche rispetto al terzo trimestre del 2021. Nel complesso, lo scorso anno ha mostrato un’inaspettata capacità di reazione del tessuto produttivo nel complesso, le cui dinamiche aggregate hanno superato ogni più rosea previsione. Tuttavia, resta l’elemento di debolezza costituito dalle differenti performance settoriali, conseguenza della diversa distribuzione degli shock della pandemia e delle restrizioni tra i diversi comparti produttivi. I più colpiti nel terziario di mercato sono quelli che manifestano a tutt’oggi difficoltà che rischiano di essere prolungate e acuite tanto dalla crisi energetica quanto dalle tensioni geopolitiche, i cui potenziali riflessi negativi sul nostro turismo non devono essere sottovalutati.

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Come cambiano le abitudini di viaggio degli italiani

Gli italiani, dopo le difficoltà legate alla pandemia, hanno voglia di viaggiare, sia per vacanza sia per lavoro. Ma non tutto è come prima dell’emergenza sanitaria. Per scoprire quali siano i comportamenti degli nostri connazionali rispetto al viaggio arriva l’osservatorio EY “Future Travel Behaviours” effettuato su un campione di oltre 1.000 soggetti. I risultati, ottenuti sia con rilevazioni esplicite che attraverso tecniche di neuroscienze cognitive, hanno permesso di individuare le intenzioni e le attitudini degli italiani nel 2022 e di delineare nuovi profili dei viaggiatori.

Nel 2021 l’80% si è spostato per vacanza

Nel 2021 oltre l’80% degli italiani ha ripreso a viaggiare per motivi di vacanza. Anche le intenzioni dichiarate per il 2022 confermano il trend: il 60% afferma di voler tornare alle abitudini di viaggio pre-pandemia e 1 su 4 desidera addirittura aumentare il numero di viaggi. Due intervistati su tre dichiarano di voler viaggiare nel nostro Paese, mentre un 6% di italiani ha pianificato di lavorare da remoto in un luogo di villeggiatura, secondo la tendenza sociale nota come workation.
Tra i mezzi di trasporto preferiti per i viaggi nel 2021, l’auto privata è sempre al primo posto sia per andare in vacanza (64% del campione) che per viaggi di lavoro (60%). Tra i fattori che influenzano maggiormente le scelte dei viaggiatori, comodità e prezzo rimangono ai primi posti, ma ben il 74% degli interpellati dichiara di aver effettuato scelte di viaggio con un occhio di riguardo all’ambiente. A livello di trasporti, l’aereo è percepito come mezzo meno ecosostenibile, con una relativa crescente attenzione alle iniziative di riduzione dell’impatto ambientale di tale tipologia di viaggio: ad esempio 2/3 degli intervistati è disposto a pagare un sovraprezzo per garantire la compensazione delle emissioni di CO2 dei propri viaggi a medio e lungo raggio. Se dall’analisi delle scelte esplicite emerge che il 46% considera importante o molto importante l’impatto delle proprie scelte sull’ambiente, i test impliciti confermano la crescita di ansia verso i problemi ambientali, evidenziata nel 75% del campione (era il 67% nella scorsa edizione). Rispetto al 2020 si è ridotta di quasi 10 punti la percentuale di coloro che hanno dichiarato di non aver effettuato alcun viaggio, mentre raddoppia la percentuale di chi ha viaggiato più di 5 volte all’anno. Per coloro che hanno ripreso a viaggiare l’Italia rimane la meta preferita dal 67% del campione, ma è in aumento anche la percentuale di coloro che desiderano trascorrere le vacanze all’estero (33%). Anche per i viaggi di lavoro il nostro Paese è la meta preferita: 89% contro l’11% che immagina di dover trascorrere un periodo all’estero per questioni professionali.

Perchè si viaggia

I dati raccolti dall’Osservatorio EY hanno evidenziato profondi cambiamenti nelle motivazioni alla base delle scelte di viaggio con una decisa spinta verso esperienze sempre più diversificate e personali. Emergono 8 diversi profili rappresentativi dei viaggiatori del 2022, che tengono conto di caratteristiche anagrafiche, comportamenti e preferenze di viaggio, intenzioni esplicite e motivazioni rilevate con analisi implicite. Il profilo più numeroso è quello dei Potential Frequent Travelers (20% del campione, +2% rispetto al 2020) ovvero coloro che intendono aumentare i propri viaggi nel 2022 sia per vacanza che per lavoro. In crescita anche i Reluctant Travelers (+3%), che continueranno a limitare gli spostamenti e gli Health and Environmental Concerned Travelers (+1%), che non intendono aumentare il numero di viaggi a causa di preoccupazioni legate alla salute e all’ambiente.

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Il futuro dell’azienda è ibrido e flessibile. Soprattutto per gli under 30 

Fattori imprescindibili per il futuro del lavoro sono la flessibilità e il giusto bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa. Ma allo stesso, si deve facilitare una costante presenza in ufficio.
Per questo la strada da seguire nel futuro è quella di un modello di lavoro ibrido. È quanto emerge dalla survey Il futuro del lavoro in Italia, commissionata da Nestlé in Italia a Toluna, con l’obiettivo di indagare le preferenze e le necessità degli under 30, i ragazzi e ragazze che si stanno affacciando al mondo del lavoro.

Il 74% dei giovani valuta positivamente l’esperienza degli ultimi mesi

Con l’obiettivo di ascoltare e dare voce a chi ha appena concluso gli studi o a chi ha appena iniziato a lavorare, lo studio riflette sul rinnovato mondo del lavoro, raccontando come gli ultimi due anni abbiano modificato i modelli organizzativi tradizionali aprendo nuove prospettive per il futuro. In generale, nonostante le preoccupazioni, i giovani hanno dimostrato forte capacità di adattamento alla nuova situazione lavorativa. Infatti, il 74% degli under 30 valuta positivamente l’esperienza di lavoro degli ultimi mesi, in quanto ha contribuito a favorire la propria autonomia (47%) e ha accelerato l’acquisizione di nuove competenze utili per crescere (44%).

Un terzo degli under 30 preferirebbe tornare in ufficio

È chiaro, nel lavoro da remoto non mancano alcuni aspetti negativi a cui le aziende dovranno prestare massima attenzione, come la ridotta socializzazione (33%) e la difficoltà di ‘staccare’ dal lavoro e godersi il tempo libero (26%). Se da un lato lo smart working regala più tempo da dedicare alle proprie attività, dall’altro rischia di portare alla mancanza di un confine netto e necessario tra lavoro e casa, a scapito della sfera privata. Insomma, la prospettiva futura di un modello di lavoro ibrido è la preferita da più della metà degli intervistati (52%), ma circa un terzo dei giovani preferirebbe tornare totalmente in ufficio, riconoscendo i benefici e i vantaggi del lavorare in presenza rispetto al lavorare sempre da casa (12%).

Considerare le esigenze di chi non è ancora entrato nel mondo del lavoro

Come tutte le aziende che vogliono guardare avanti, riporta Adnkronos, Nestlé sta costruendo il suo modello di lavoro ascoltando il parere e le necessità delle persone, ma ritiene anche fondamentale considerare le esigenze di chi non sta ancora lavorando e che magari arriverà in azienda tra qualche anno.
Con l’introduzione dello smart working già dal 2012 l’azienda adotta una forma di lavoro che garantisce maggiore flessibilità alle persone, tutelando il corretto bilanciamento tra vita personale e professionale. Oggi l’azienda ha deciso di aggiornare il proprio modello coniugandolo al meglio con politiche di welfare aziendale, che diventano sempre più importanti per far vivere bene il lavoro, e che possono favorire la crescita, personale e aziendale.

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