Tech & Durables: rallenta la domanda, ma non per tutti i settori 

Nella prima metà del 2023 tutti i comparti della Tecnologia di consumo registrano un calo dei ricavi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tuttavia, il settore IT e il Piccolo Elettrodomestico rimangono sopra i livelli pre-pandemici. Nello stesso periodo il mercato globale registra una contrazione del -6,3% a valore, con un fatturato di 390 miliardi di dollari. GfK prevede per l’intero 2023 una contrazione a valore del -3,4%. Insomma, a livello globale la domanda di prodotti Tech & Durables continua a rallentare. Il mercato subisce infatti gli effetti del contesto macro-economico, dell’eccesso di scorte e della saturazione della domanda collegata alla crescita record degli scorsi anni.

Italia: -4,9%, fatturato a 7,3 miliardi di euro

Nei primi sei mesi del 2023 in Italia il mercato della Tecnologia di Consumo segna un trend negativo a valore (-4,9%) e un fatturato di 7,3 miliardi di euro. Dopo la crescita degli ultimi anni, anche il mercato italiano sta rallentando, ma non in tutti i settori. La tendenza negativa è legata principalmente dalla performance dell’Audio-Video (-34%) e dell’Information Technology (vendite a valore -8%).
La Telefonia, il settore più importante per fatturato, registra un trend positivo (+3%) e crescono anche i comparti Grande Elettrodomestico e Piccolo Elettrodomestico (rispettivamente +6% e +4%).
Le vendite online rimangono stabili intorno al 26% del fatturato, ma solo la fine dell’anno dirà quanto cresceranno a seguito dei grandi eventi promozionali che generalmente spingono gli acquisti in rete nel Q4.

Inflazione e prezzi elevati le preoccupazioni principali dei consumatori

Secondo lo studio globale GfK Consumer Life, inflazione e prezzi elevati sono tra le preoccupazioni principali per il 35% dei consumatori a livello internazionale. Questo è anche uno dei motivi principali dietro alla contrazione della domanda di prodotti Tech, dove i prezzi medi a livello globale sono aumentati notevolmente rispetto ai livelli pre-pandemici: +29% a giugno 2023 rispetto a gennaio 2020. Il rallentamento del mercato T&D varia comunque da regione a regione, a causa delle differenze nel potere d’acquisto e nei livelli di prezzo. Così, mentre l’Europa occidentale e i Paesi sviluppati dell’Asia registrano una contrazione delle vendite a valore (rispettivamente -6% e -11%), Europa orientale e Medio Oriente continuano a crescere.

I trend del futuro? Sostenibilità e semplificazione

Brand e Retailer devono puntare su trend a lungo termine in grado di attirare i consumatori. I prodotti che stanno continuano a crescere nonostante le difficoltà sono quelli che si caratterizzano per efficienza energetica e sostenibilità, maggiore praticità e flessibilità o caratteristiche premium a prezzi accessibili. Un altro trend di lungo periodo che influenza positivamente il mercato globale è il desiderio di flessibilità dei consumatori, a causa delle postazioni di lavoro più piccole e del fenomeno workation. Inoltre, i modelli di fascia alta continuano a performare meglio della media del mercato, soprattutto nell0Elettronica di consumo. Ad esempio, mentre il mercato TV nel complesso è in calo (-15%), i televisori di fascia alta da oltre 75 pollici crescono del +5% a livello globale.

Nei primi 6 mesi del 2023 sono 200mila le offerte di lavoro

Sono quasi 200.000 le offerte da parte delle aziende italiane nel primo semestre dell’anno. A rilevarlo è InfoJobs, che ha realizzato il nuovo Osservatorio InfoJobs sul mercato del lavoro – Primo semestre 2023. Il mondo del lavoro si conferma quindi dinamico e propositivo. A crescere e a evolvere è anche il modo in cui le aziende cercano nuove risorse, con modalità sempre più legate alla ricerca proattiva e alla consultazione dei cv che i candidati caricano in piattaforma.
In cima alla classifica delle regioni con maggior numero di offerte di lavoro svetta ancora una volta la Lombardia (31%), e confermate anche le medaglie d’argento per l’Emilia-Romagna (18%) e il bronzo per il Veneto (13,5%). Il Piemonte (9%) è stabile al quarto posto, mentre il Lazio è al quinto (6,2%).

Ricerche sempre più mirate

In generale, nei primi sei mesi dell’anno in corso, InfoJobs ha registrato un atteggiamento delle aziende sempre più propenso alla ricerca mirata di candidati in database, tanto che sono stati oltre 60.000 i cv scaricati (+23,7% vs 2022) e di conseguenza i professionisti contattati direttamente dalle aziende dopo avere consultato la piattaforma scaricando i cv.
Una soluzione che attesta un crescente entusiasmo, perché scelta dal +10,8% delle aziende rispetto allo stesso periodo dell’anno passato.

Milano resta in testa a livello nazionale

Nel primo semestre 2023 sono state oltre 1.600.000 le ricerche da parte delle aziende di professionisti, a prescindere dagli annunci pubblicati. Tra le categorie professionali che hanno ricevuto maggior interesse da parte delle aziende al primo posto, come nel 2022, Operai, Produzione, Qualità (16,4%), seguita da Amministrazione, Contabilità, Segreteria (7,5%), Acquisti, Logistica, Magazzino (6,2%), Commercio al dettaglio, Gdo, Retail (5,1%), Informatica, It e Telecomunicazioni (4,7%).
A livello nazionale, dal punto di vista delle province Milano resta in testa (11,4%), Roma supera Torino (al terzo posto con il 5% del totale nazionale) e si posiziona al secondo posto (5,3%).
A emergere nella top 10 tra le province in crescita rispetto al 2022 è Treviso, che conquista l’ottavo posto (+3,4%) e raccoglie il 3% delle offerte nazionali.

Le professioni più cercate

La categoria professionale più cercata si conferma quella che racchiude Operai, Produzione, Qualità (30,5%), seguita da Acquisti, Logistica, Magazzino (9%) a pari merito con Commercio al dettaglio, Gdo, Retail, Amministrazione Contabilità Segreteria (8,5%) al terzo posto.
Chiudono la top 5 Turismo e Ristorazione (5,9%), che denota la crescita maggiore (+7,5% rispetto al 2022). Le categorie professionali si rispecchiano anche nel dettaglio delle professioni più cercate su InfoJobs in questi primi sei mesi dell’anno, che sono Magazziniere, Addetto vendita, Agente di commercio, Manutentore elettromeccanico, Operatore della produzione alimentare, Specialista di back office, Addetto pulizia camere, Operatore di macchine cnc, Addetto alla fatturazione e Assistente amministrativo.

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Metaverso, è vero che è già… finito?

Il Metaverso è stata la novità tecnologica che ha monopolizzato l’attenzione di tutti l’anno scorso. Tuttavia, si è parlato anche di un possibile “flop”, di investimenti diversi da parte di Meta (ex Facebook) e di una tecnologia che sembrava già al capolinea. La domanda principale è: il Metaverso è davvero morto? E se esiste, che cos’è esattamente? Si riferisce a quello “inventato” da Facebook o è qualcosa di completamente diverso? L’Osservatorio Extended Reality & Metaverse della School of Management del Politecnico di Milano ha deciso di fare chiarezza e ha analizzato dieci falsi miti riguardanti il Metaverso.

Cos’è il Metaverso

Prima di tutto, il Metaverso viene definito come un ecosistema immersivo, persistente, interattivo e interoperabile, composto da molteplici mondi virtuali interconnessi in cui gli utenti possono socializzare, lavorare, effettuare transazioni, giocare e creare asset, accedendo anche tramite dispositivi immersivi. È una prossima grande evoluzione dell’interazione online, e attualmente ha già attirato l’interesse di numerose aziende che stanno esplorando le opportunità di business offerte da questo nuovo mondo virtuale. Uno dei primi falsi miti riguarda il fatto che esistano più Metaversi, ma, in realtà, il Metaverso è uno solo, composto da diversi mondi virtuali interoperabili e interconnessi tra di loro, assimilabile al rapporto tra universo e galassie.

Non è stato “inventato” da Meta

Inoltre, va chiarito che il concetto di Metaverso non è stato ideato da Facebook (ora Meta) nel suo rebranding, ma è stato affrontato in vari campi, dalla letteratura alla cinematografia, negli ultimi trent’anni. Meta ha semplicemente riportato in luce il termine per rappresentare una rivoluzione digitale portata dalle tecnologie di Extended Reality. Il Metaverso non è sinonimo di realtà virtuale, come spesso viene confuso. La realtà virtuale è solo una delle tecnologie immersive che costituiscono il Metaverso, insieme alla Realtà Aumentata e alla Realtà Mista. Inoltre, il Metaverso non è accessibile solo tramite un visore, ma può essere raggiunto anche da smartphone e PC. L’hardware cambia solo il livello di immersività dell’utente, ma non ne preclude gli aspetti funzionali.

Tutti gli ambiti di applicazione, anche per il business

Un altro falso mito è che il Metaverso sia solo per il gaming, ma può offrire opportunità in diversi ambiti applicativi, come il socializing, il business, la formazione e molto altro. Il Metaverso non deve essere considerato distante dal mondo reale, poiché le attività svolte possono avere legami con il mondo fisico, creando esperienze ibride tra digitale e reale. Esiste la convinzione che il Metaverso non permetta alle aziende di fare business, ma in realtà, potrebbe rappresentare una possibilità per ampliare la propria offerta di beni e servizi, raggiungere nuovi utenti e svolgere attività collaborative a distanza.

Il vero Metaverso non è ancora nato

Il Metaverso non è sinonimo di Web3, anche se potrebbe farne parte. Web3 rappresenta una nuova versione del web fondata su principi chiave di decentralizzazione e accessibilità. Infine, il Metaverso non è morto, perché il vero Metaverso, con tutte le sue caratteristiche peculiari, non esiste ancora. Al momento, esistono solo mondi virtuali che potrebbero diventare interoperabili in futuro, costituendo così le fondamenta del Metaverso digitale. Nessuno sa con certezza come sarà il Metaverso del futuro e se quello che vediamo oggi sia davvero il preludio di quello che sarà. La ricerca e lo sviluppo di questa tecnologia continuano a evolversi e a cambiare, e il Metaverso potrebbe ancora offrire nuove sorprese nei prossimi anni.

Anche Chat Gpt “teme” la matematica: perchè? 

Un recente studio ha rivelato come i modelli di linguaggio GPT-3, GPT-3.5 e persino GPT-4, considerino la matematica come un argomento ostico e difficile, generatore di ansia. Questa percezione negativa si riflette anche nelle esperienze di centinaia di studenti italiani, specie quelli che hanno affrontato gli esami di maturità.
Immaginatevi in navigazione su un mare tumultuoso, le onde rappresentano concetti accademici come la matematica, la scuola e gli insegnanti. È comprensibile che la navigazione in queste acque possa essere fonte di ansia, giusto? Secondo uno studio pubblicato sulla rivista peer-reviewed Big Data and Cognitive Computing, anche i grandi modelli di linguaggio come GPT-3, GPT-3.5 e addirittura GPT-4 associano la matematica ad aspetti fortemente negativi, come “difficile”, “frustrante” o “noiosa”.

Un dato rilevato attraverso le reti del “forma mentis comportamentale”

Questo particolare comportamento è stato misurato attraverso le reti del “forma mentis comportamentale”, una sorta di mappa cognitiva che consente di comprendere la percezione di un concetto osservando le sue associazioni con altri concetti. I risultati sono sorprendenti: nei loro ruoli di divulgatori del sapere, GPT-3 e GPT-3.5 hanno associato la matematica a concetti noiosi, ansiosi, problematici e negativi, in modo simile a un noioso viaggio su un’isola deserta, privo di qualsiasi associazione positiva con le applicazioni avventurose del mondo reale. 
“Questi risultati sono in linea con le percezioni negative della matematica che abbiamo riscontrato negli studenti italiani delle scuole superiori”, afferma il professor Massimo Stella, co-autore dello studio e docente di psicometria presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. “A differenza dei professionisti nelle carriere scientifiche, che vedono la matematica come un tesoro creativo e pratico, questi modelli la considerano qualcosa di astratto, separato dai progressi scientifici e dalla comprensione del mondo reale”.

Le possibili conseguenze

Questa tendenza a percepire la matematica in modo negativo potrebbe avere serie conseguenze. Questi modelli di linguaggio agiscono come specchi psico-sociali, riflettendo pregiudizi e atteggiamenti che sono stati incisi nel loro “DNA” linguistico durante l’allenamento. La mancanza di trasparenza implica difficoltà nel monitorare l’effetto delle risposte di questi modelli. Non è ancora chiaro se queste associazioni negative possano avere un impatto negativo su alcuni utenti, aggravando l’ansia matematica già esistente.
Gli autori dello studio ritengono che le interazioni sociali con questi modelli possano esacerbare gli stereotipi o le insicurezze preesistenti riguardo alla matematica tra gli studenti e persino i genitori. Queste interazioni potrebbero confermare atteggiamenti negativi già presenti o alimentare messaggi subliminali che la matematica è difficile per alcuni gruppi specifici. Questo fenomeno, noto come “minaccia dello stereotipo”, può influenzare le prestazioni accademiche. Tali atteggiamenti negativi possono ostacolare l’apprendimento delle competenze tecniche in matematica e statistica, creando una tempesta che blocca il viaggio verso l’isola della conoscenza.

I modelli di linguaggio e le loro “paure”

È quindi importante prendere in considerazione questo avvertimento: i modelli di linguaggio, pur essendo potenti strumenti, hanno le loro paure. Come noi, possono sentirsi intimiditi dalla matematica. La sfida per il futuro è navigare attraverso queste tempeste, correggendo tali pregiudizi, affinché questi modelli possano guidarci verso un mare di conoscenza più sereno e produttivo.

Perchè un italiano su tre pagherebbe di più per acquisti sostenibili?

Un terzo degli italiani è pronto a pagare di più se il prodotto o il servizio acquistato è sostenibile. Il 31% è infatti disposto a fare acquisti sostenibili, anche se questo ha un impatto sulle finanze.
Inoltre, il 46% accetterebbe di scendere a compromessi sul proprio stile di vita a beneficio dell’ambiente. Ad esempio, consumando meno energia, mangiando meno carne o limitando la plastica monouso. È quanto emerge da un sondaggio realizzato da Ipsos per l’edizione 2023 del Salone della Csr e dell’innovazione sociale, condotto a maggio 2023 su un campione di 1000 persone over 16.

La transizione ecologica ha un costo

I dati del sondaggio mettono in evidenza una novità importante: ormai è chiaro ai cittadini che la transizione sostenibile ha un costo, e che perseguirla richiede e richiederà la sottrazione di risorse ad altri ambiti, o aumentare il prelievo fiscale, se non addirittura entrambi.
Oggi, a 11 anni dalla prima edizione del Salone, gli italiani sono pronti alla sfida e lo dimostrano nel quotidiano. L’89% delle famiglie si impegna nella raccolta differenziata, l’88% nel risparmio energetico, l’87% nel ridurre il consumo idrico. E il 60% acquista prodotti biologici, pur con un’ampia forbice tra chi lo fa abitualmente (19%) e chi ‘abbastanza’ (41%).
Il quadro è identico nella scelta dei prodotti del marcato equo e solidale, che si attesta al 56% delle preferenze, con il 17% di consumatori abituali e il 39% che diversifica maggiormente l’acquisto.

Ma i benefici supereranno largamente i disagi

“Quello che non cambia, invece, è la consapevolezza che abitare il cambiamento è impegnativo e richiede di uscire dalle proprie abitudini – commenta Andrea Alemanno, Principal di Ipsos Strategy3 -. Molti si sentono pronti a ‘traslocare’, ma questa disposizione ideale è frenata dalle conseguenze negative, se comparate con un effetto non altrettanto certo. Infatti per il 58% degli italiani sarà impossibile realizzare transizioni energetiche, ambientali, digitali e sociali senza avere ripercussioni negative su alcuni membri o settori della società. Quasi la metà (45%) si attende ripercussioni limitate e gestibili, e solo il 18% ritiene che i benefici supereranno largamente i disagi. Accelerare questa fase di trasformazione è fondamentale”.

Un Salone dedicato all’innovazione sociale

Il programma 2023 del Salone della Csr è articolato in 12 aree tematiche che toccheranno diversi ambiti, dalla gestione sostenibile della casa all’innovazione nell’agrifood, dall’energia alla comunicazione e dalla finanza alla cultura.
Un tema centrale sarà la valutazione degli impatti generati: anche per questo il Salone promuove la seconda edizione del Premio Impatto. Dopo il successo del 2022, riferisce Adnkronos, l’augurio è di poter contare sulla partecipazione di un numero sempre maggiore di imprese e associazioni non profit, che raccontino perché è importante misurare il valore creato dalle proprie attività.

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Cybersicurezza nazionale: i numeri dell’ACN nel 2022

Il 2022 è stato un anno complesso, che ha visto la maturazione dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, l’ACN, costituita per decreto nella seconda metà del 2021. Inoltre, la necessità di mettere il Paese in sicurezza ha portato alla creazione della Strategia nazionale di cybersicurezza 2022-2026 e il relativo Piano di implementazione I numeri della cybersicurezza nazionale nel 2022 si possono leggere nella relazione annuale dell’Agenzia, che fornisce una panoramica sulle attività, i dati e le progettualità dell’ACN per il periodo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre 2022.  Un periodo intenso, che ha impegnato l’Agenzia a operare a tutela degli interessi nazionali nel campo della cybersecurity a 360°.

Protezione, risposta e sviluppo digitale del Paese in 82 misure

La relazione dell’ACN è un documento di indirizzo composto da 82 misure, ed è volto a sostenere il potenziamento cyber del sistema Paese per far fronte alle sfide del mondo digitale rispetto ai tre obiettivi fondamentali di protezione, risposta e sviluppo digitale. Per far fronte alla complessità del panorama della minaccia cibernetica, il CSIRT Italia (Computer Emergency Response Team) nel 2022 ha trattato 1.094 eventi cyber, di cui 126 hanno avuto un impatto confermato dalla vittima.
Sul fronte delle comunicazioni ricevute sono state invece registrate 81 segnalazioni derivanti da obblighi di legge.

Sostenere innovazione, rafforzamento tecnologico e industriale

Nel 2022 ACN ha anche gestito 6 accordi che hanno determinato l’avvio delle iniziative mirate al potenziamento di 129 progettualità rivolte a 51 PA, 16 centrali e 35 locali. Ha inoltre realizzato 67 misure per determinare i livelli minimi di sicurezza, capacità elaborativa, risparmio energetico e affidabilità delle infrastrutture digitali, e garantire le caratteristiche di qualità, di sicurezza, di performance e scalabilità, interoperabilità, portabilità dei servizi cloud. E ha lanciato il Cyber Innovation Network, una rete di collaborazioni per lo sviluppo di programmi congiunti nel settore della cybersicurezza. Ma, soprattutto, ha definito un programma di azioni sinergiche tra ricerca, start-up e alta imprenditoria al fine di sostenere l’innovazione, il rafforzamento tecnologico e industriale del sistema Paese con la stesura di un’Agenda di ricerca e innovazione (R&I) e altre iniziative di collaborazione nazionali ed europee in ambito ricerca sulla cybersecurity.

La resilienza nazionale si misura anche nello spazio cibernetico

La proiezione internazionale dell’Agenzia ha implicato incontri e collaborazione internazionali. Nel 2022 l’Agenzia ha svolto 5 missioni internazionali di vertice a Bruxelles, negli Stati Uniti, Israele, Canada, 19 incontri bilaterali con rappresentanti di autorità di cybersecurity estere o rappresentanti governativi, e 4 meeting con rappresentanti di organizzazioni intergovernative. Al suo attivo anche 27 riunioni del Nucleo per la cybersicurezza (NCS), la sede primaria di coordinamento interministeriale, a livello tecnico-operativo, in materia di cybersicurezza e resilienza nazionale nello spazio cibernetico.

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PMI ancora indietro per diversità, equità e inclusione in azienda

Sono molte le Pmi italiane che non ritengono di aver bisogno di iniziative DEI, ovvero, relative a diversità, equità e inclusione. Non individuano alcun vantaggio nell’adottarle e non hanno all’interno una figura dedicata né un budget allocato. Limitata, inoltre, è anche la presenza femminile nelle posizioni apicali dell’azienda, e scarsa la conoscenza della certificazione di genere.
A quanto emerge dalla ricerca Diversità, Equità, Inclusione nelle PMI italiane, commissionata da Valore D a Nomisma, le piccole e medie imprese hanno una concezione poco moderna rispetto ai temi di equità, inclusione e valorizzazione delle diversità. Una visione ancora acerba e prevalentemente ‘teorica’, dove l’approccio all’inclusività è spesso frutto della soggettività del singolo e della propria esperienza personale.

Una divergenza tra teoria e pratica 

Emerge quindi una divergenza tra teoria e pratica nell’affrontare le tematiche DEI. Nonostante una crescente attenzione verso gli ambiti che riguardano la sostenibilità, questa non si traduce in priorità di business per le aziende. Infatti, per il 20% delle Pmi questi aspetti rivestono un ruolo secondario e per il 21% non hanno alcun ruolo. Più in particolare, se il 59% delle Pmi adotta iniziative concrete a favore di diversità e inclusione, le dimensioni aziendali influiscono sull’approccio a questi temi. Le aziende di dimensioni più ridotte adottano nel 61% dei casi iniziative singole, mentre le medie imprese tendono ad avviare con maggiore frequenza (72%) veri e propri percorsi strategici.

La gestione delle iniziative DEI è affidata alla dirigenza aziendale

In generale le Pmi hanno difficoltà a percepire i vantaggi nel lungo periodo collegati alle iniziative DEI, considerate secondarie o non importanti dal 41% degli intervistati. Solo il 16% ha al suo interno una figura dedicata alla gestione DEI, e poco diffusi sono anche i responsabili degli aspetti di sostenibilità (35%). Nelle imprese che non hanno figure specifiche dedicate, la gestione è affidata alla dirigenza aziendale (titolare/imprenditore, AD, direttore generale, 44%) mentre per circa una PMI su tre non è prevista una delega specifica. Il 72% delle Pmi, poi, non ha attualmente, e non prevede in futuro, un budget dedicato a queste tematiche, numero che sale all’80% per quanto riguarda le piccole imprese.

Scarsa presenza femminile a livello apicale

Si evidenzia pertanto la mancanza di una visione moderna dell’inclusione e della valorizzazione delle diversità. Spesso le azioni intraprese si limitano a iniziative di welfare e conciliazione vita/lavoro, e meno di una azienda su tre fa formazione sui temi DEI o networking con altre realtà.
Quanto alla parità di genere, il 63% delle Pmi conosce l’esistenza di una certificazione, ma a oggi la quota di Pmi che ha ottenuto la certificazione è ancora minuscola (1% tra le medie imprese), anche se un’azienda su tre potrebbe richiederla già nel prossimo anno. Inoltre, il campione intervistato evidenzia una scarsa presenza femminile a livello apicale. Nel 16% delle Pmi non ci sono donne in queste posizioni, e nel 57% le donne in posizioni apicali sono meno del 25%. 

Il settore della Blue Economy vale 143 miliardi di euro

Il settore della Blue Economy in Italia è in rapida crescita, come evidenziato nell’XI Rapporto sull’Economia del Mare dell’Osservatorio Nazionale sull’Economia del Mare (OsserMare) di Informare con il Centro Studi Tagliacarne – Unioncamere. Attualmente, ci sono 228.000 imprese che operano nella Blue Economy, che danno lavoro a quasi 914.000 persone e generano un valore aggiunto di 52,4 miliardi di euro. Se si considera l’intera filiera diretta e indiretta, il valore totale arriva a 142,7 miliardi di euro.
Il rapporto evidenzia anche la crescita significativa del settore. Tra il 2022 e il 2021, il numero di imprese nel sistema marittimo è aumentato dell’1,6%. Le esportazioni sono cresciute del 37%, mentre il valore diretto prodotto è aumentato del 9,2% tra il 2021 e il 2020. Questi dati testimoniano la vitalità e la resilienza della Blue Economy italiana.
Antonello Testa, coordinatore nazionale di OsserMare, sottolinea l’importanza di conoscere i valori economici aggiornati dell’Economia del Mare per definire la strategia marittima del paese. Il Rapporto Nazionale sull’Economia del Mare fornisce uno strumento evoluto per monitorare le dinamiche di questo macrosettore.

Un comparto che vince in resilienza

Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro Studi Tagliarne, commenta sottolineando che la Blue Economy ha dimostrato di essere leader in termini di resilienza e sviluppo in Italia. Nonostante l’impatto negativo della pandemia, il settore ha mostrato una crescita del valore aggiunto del 9,2% nel 2021, contribuendo a recuperare quasi interamente le perdite del 2020. Si prevede un ulteriore sviluppo nel 2022, soprattutto nei settori della cantieristica e della logistica. Nel dettaglio, le attività di alloggio e ristorazione sono state il principale motore di crescita dell’economia blu, registrando un aumento del 22,1% tra il 2021 e il 2020. La filiera della cantieristica ha segnato un aumento del 11,7%, seguita dalla filiera ittica con un aumento dell’8%. Anche gli altri settori, come le attività sportive e ricreative, la movimentazione di merci e passeggeri via mare e le attività di ricerca, regolamentazione e tutela ambientale, hanno mostrato dinamiche positive.

La maggior parte della ricchezza proviene dal Centro Sud

La maggior parte della ricchezza prodotta dalla Blue Economy proviene dal Centro e dal Sud Italia, che insieme contribuiscono al 61% del valore del settore nel 2021. La Liguria ha un ruolo di primo piano, rappresentando l’11% del valore prodotto dall’economia del mare a livello regionale.
La cantieristica si conferma il settore trainante delle esportazioni, registrando una crescita del 40,7% nel 2022 rispetto all’anno precedente. Il saldo commerciale è diventato positivo, con un avanzo di 1,9 miliardi di euro nel 2022, grazie a una riduzione significativa delle importazioni.

Il 10% delle aziende è guidato da giovani

Dal punto di vista imprenditoriale, quasi il 10% delle aziende nella Blue Economy è guidato da giovani under 35, mentre oltre il 20% è guidato da donne. La maggior parte delle attività imprenditoriali nel settore si concentra nel Mezzogiorno e nel Centro Italia. La regione con il maggior numero di aziende blu è il Lazio, seguito da Campania e Sicilia. La Liguria, invece, ha il peso maggiore in termini di incidenza delle imprese del mare sul totale del sistema imprenditoriale regionale.

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I genitori italiani dedicano più tempo a figli e famiglia 

Lo conferma un sondaggio condotto da Novakid: sono i genitori italiani quelli che passano più tempo in famiglia. Nel nostro Paese infatti si passa più tempo insieme ai figli rispetto a Spagna, Francia, Germania, Turchia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Circa il 32% dei genitori italiani dichiara infatti di passare con i figli più di 4 ore al giorno durante la settimana. Percentuale che corrisponde, ad esempio, solo al 18% dei francesi. E nel fine settimana il tempo passato con i figli aumenta: il sabato e la domenica sono oltre il 77% i genitori italiani che passano almeno 4 ore al giorno con i figli, e oltre il 29% dedica alla famiglia anche più di 6 ore al giorno. Molto più di quanto rilevato in Spagna (21%), Germania (26,1%) e Francia (10%). Nonostante questo, molti genitori italiani pensano che non sia abbastanza, e si sentono in colpa.

Giocare, cucinare e guardare film o cartoni

Cosa fanno in Italia genitori e figli quando sono insieme? Principalmente giocano (59%), cucinano e preparano dolci (36%), guardano film o cartoni animati in TV (50%).
Non sembra essere molto diffusa la lettura, scelta solo dal 16,3% dagli italiani, mentre è molto più popolare in Turchia (42%) o in Francia (30,1%). In coda alla lista delle attività scelte per il tempo libero, vedere amici o familiari (10%).
I compiti, naturalmente, assorbono parte del tempo libero delle famiglie. E se l’85% dei genitori italiani dedica al massimo un’ora e mezza al giorno a questa attività, in Francia, Spagna e Germania la percentuale è più alta.

Le attività del tempo libero vanno pianificate

Organizzare il tempo libero con i bambini richiede pianificazione? A quanto pare si, perché solo l’11% dei genitori italiani dichiara di non programmare il tempo libero. Percentuale che scende al 7,3% in Spagna e al 7% in Germania. E chi decide cosa si fa durante il fine settimana o nel pomeriggio libero? In molti casi sono i bambini stessi a scegliere cosa fare, tanto che il 50% dei genitori in Italia dichiara di chiedere ai figli cosa preferiscono fare. Percentuale che sale al 64% in Francia e al 66,5% in Germania. Dopo i figli, la seconda opzione è quella di consultarsi con il partner (43,3%).

Il senso di colpa per non stare insieme abbastanza

Le idee su cosa fare nel fine settimana con i bambini arrivano anche dai social media (36,7%) e dalle newsletter a cui i genitori sono iscritti (14,7%), oppure da amici o altri genitori con figli che propongono attività da fare insieme (14,7%).
Ma la maggioranza dei genitori di tutti i paesi prova una sorta di ‘senso di colpa genitoriale’ per non condividere abbastanza tempo con i propri bambini. In Italia la percentuale è il 72%, mentre negli altri paesi si va dal 54% dei genitori spagnoli a oltre il 76% in Francia. Al contrario, in Italia la percentuale di genitori che ritengono di passare abbastanza tempo con i figli è il 15,3%.

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Ue, gli italiani sono ancora fan dell’Europa?

Il 9 maggio di ogni anno si celebra la Giornata dell’Europa, che commemora la dichiarazione storica del Ministro degli Esteri francese Robert Schuman del 1950, in cui espose l’idea di una nuova forma di collaborazione politica in Europa. In Italia, nonostante la diminuzione della fiducia nei confronti dell’Unione Europea, il rapporto sembra non essere compromesso. Secondo l’ultimo sondaggio d’opinione Ipsos, la mancanza di fiducia nell’UE è un fenomeno che riguarda molti altri attori istituzionali e l’Unione Europea si colloca anzi meglio delle istituzioni nazionali. Sono di più gli italiani che ritengono l’appartenenza dell’Italia all’Unione una cosa positiva (più di 4 su 10) di quanti non ritengono vero il contrario (meno di un quarto). Tant’è che la maggioranza degli intervistati si esprimerebbe a favore di un remain nel caso di un referendum sull’uscita dell’Italia dall’UE o dall’Euro. 

Sì al progetto europeo, ma con aggiustamenti

Tuttavia, il 50% del campione si dichiara favorevole al progetto europeo, ma non a come è stato realizzato fin qui. Le istituzioni europee sono avvertite come “lontane” dal 51% degli intervistati e troppo soggette all’influenza di Francia e Germania (il 51% ritiene che solo questi due Paesi abbiano un vero potere decisionale in Europa). È però forte la convinzione che, fuori dall’Unione Europea, l’Italia conterebbe meno nel mondo (51% d’accordo Vs. 29% in disaccordo). 

Servirebbe un vero Stato federale

Secondo il sondaggio Ipsos, l’UE dovrebbe evolversi in un vero Stato federale europeo, ovvero gli “Stati Uniti d’Europa”, secondo il 54% del campione. Questo Stato federale dovrebbe mettere al centro una gestione unitaria dell’immigrazione e una comune lotta al cambiamento climatico, che sono le priorità europee indicate rispettivamente dal 31% e dal 29% degli intervistati. Nonostante l’Europa non entusiasmi molto, sembra essere indispensabile e per tornare a far sognare gli italiani dovrebbe fare molti passi avanti.

Quale sarà il futuro dell’Europa?

Guardando al futuro, tuttavia, prevale un certo scetticismo. Alla domanda di immaginare l’Unione Europea tra dieci o vent’anni gli italiani si dividono sostanzialmente in tre blocchi: il 25% ritiene che l’UE sarà più forte e solida rispetto ad oggi, una percentuale identica pensa invece che si andrà nella direzione opposta (un’Unione più debole e divisa). Il restante 50% ritiene che non ci saranno grandi cambiamenti (21%) o non ha un’opinione a riguardo (29%).