Milano traina gli aumenti congiunturali dell’industria 

Milano si conferma la “locomotiva” economica della Lombardia, ma Monza Brianza e Lodi seguono a ruota. Sono infatti tutti in positivo i dati emersi dall’analisi congiunturale dell’industria relativa al terzo trimestre 2022, appena presentata dalla Camera di Commercio. Per quanto riguarda il capoluogo, gli indicatori sono nel segno dell’ottimismo e della dinamicità. Il quadro delinea nel terzo trimestre 2022 un aumento congiunturale rispetto al secondo trimestre 2022 della produzione industriale e del fatturato milanese (+1,3% e +3,5% destagionalizzato). Addirittura, nell’area metropolitana di Milano la crescita di fatturato è maggiore rispetto al dato lombardo (i due dati regionali sono rispettivamente +0,4% e +2,6% destagionalizzato). Per gli ordini interni la progressione congiunturale è ancora più marcata per l’industria milanese rispetto alla manifattura lombarda (rispettivamente +4,7% e +1,3% destagionalizzato), allo stesso modo degli ordini esteri per cui la performance milanese è migliore (+6,9% e +1,5% destagionalizzato). Passando all’analisi tendenziale, il terzo trimestre 2022 ha consentito all’area metropolitana milanese in un anno di crescere del 6,1% per la produzione, più del dato lombardo (+4,8% in un anno). Se si considera la crescita netta del fatturato, sempre raffrontata al terzo trimestre 2021, l’aumento è del 14,5% a livello locale e 13,5% a livello regionale. In relazione al portafoglio ordini, si registra un livello superiore a quello relativo al terzo trimestre 2021 (+10% in un anno), con performance migliore rispetto alla manifattura lombarda (+6,6%). 

Monza e Brianza, aumentano sia la produzione industriale sia il fatturato

Buone, anzi ottime notizie anche il quel di Monza e Brianza. Il terzo trimestre 2022 fa registrare un aumento rispetto al secondo trimestre 2022 sia della produzione industriale (+1,7% destagionalizzato), sia del fatturato (+2% destagionalizzato), così come le commesse acquisite dai mercati interni (+1,6% destagionalizzato) ed esteri con +2,7%. La crescita tendenziale della capacità produttiva colloca i volumi prodotti a un livello superiore rispetto al terzo trimestre 2021 (+7,4%), superiore rispetto al dato lombardo (+4,8%). Nello stesso periodo, i dati della manifattura brianzola per fatturato (+12,5%) sono inferiori al dato lombardo (+13,5%). Sempre rispetto al terzo trimestre 2021, il portafoglio ordini del manifatturiero brianzolo evidenzia un incremento reale superiore a quanto registrato in Lombardia (rispettivamente +11,2% e +6,6%): si tratta di un dato particolarmente incoraggiante.

Lodi, in crescita soprattutto le commesse interne 

Per quanto concerne Lodi, continua la crescita congiunturale ance nel periodo in esame grazie a un aumento rispetto al secondo trimestre 2022 della produzione industriale (+0,3% destagionalizzato), accompagnato dalla crescita del fatturato (+0,4% destagionalizzato). In particolare, aumenta sensibilmente la quota delle commesse acquisite dai mercati interni (+7,8% destagionalizzato) mentre gli ordini esteri risultano in calo del -2,1%. Nel terzo trimestre 2022 rispetto all’anno precedente si verifica un trend di crescita per produzione, fatturato e ordini. Relativamente all’analisi tendenziale, raffrontato al terzo trimestre 2021, la crescita della produzione si attesta a +3,3%, performance peggiore rispetto al dato lombardo (+4,8%). In relazione al fatturato, nel confronto con il terzo trimestre 2021, il recupero si attesta a +11,5%, leggermente inferiore per intensità al dato regionale (+13,5%). 

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Cambiamento climatico: quali azioni promuovono gli italiani?

Sostenere azioni quali sussidi governativi per le tecnologie ambientali, modifica dei prezzi e incentivi per i prodotti ecologici: sono queste le azioni sulle quali l’opinione pubblica si dichiara maggiormente favorevole per contrastare il cambiamento climatico. Al contrario, le politiche riguardanti un aumento delle tasse sugli spostamenti più dannosi per l’ambiente, sui prodotti alimentari e sulle fonti non rinnovabili ricevono poco sostegno. Si tratta di alcuni risultati emersi da un sondaggio condotto da Ipsos per indagare le opinioni dei cittadini di 34 Paesi sulle politiche piper atte ad affrontare la minaccia del cambiamento climatico. La ricerca è stata svolta in occasione della COP27, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici 2022, tenutasi sotto la presidenza dell’Egitto.

Rendere più economiche le tecnologie ecologiche

Tra le azioni e le politiche maggiormente sostenute dagli italiani per affrontare il cambiamento climatico il 68% si dichiara favorevole alle sovvenzioni governative per rendere maggiormente economiche le tecnologie ecologiche rispettose dell’ambiente, come, ad esempio, pannelli solari, veicoli elettrici. Il 61% si mostra favorevole a un’eventuale modifica dei prezzi dei prodotti, al fine di rendere più economici e accessibili quelli ecologici, e più costosi quelli dannosi per l’ambiente. E se il 57% si dichiara favorevole agli incentivi per gli investimenti in prodotti e servizi ecologici, la medesima percentuale è propensa a concedere più spazio stradale a pedoni e ciclisti a scapito degli automobilisti.

Aumento delle tasse sulle fonti non rinnovabili? Piace solo al 26%

Quali sono, invece, le azioni per combattere il cambiamento climatico sostenute in misura minore dagli italiani? Il 46% degli intervistati si dichiara favorevole a sostenere il divieto di accesso ai veicoli a benzina/gas/diesel nelle aree centrali delle città e dei paesi per creare zone libere da veicoli, e il 43% è favorevole all’aumento delle tasse sui viaggi e spostamenti più dannosi per l’ambiente. L’obbligo per tutti i punti ristoro di offrire opzioni vegane è sostenuto dal 39%, e l’aumento delle tasse sui prodotti alimentari, come carne rossa e prodotti lattiero-caseari, dal 33%, mentre l’aumento delle tasse sulle fonti non rinnovabili, come ad esempio gas o petrolio, dal 26%. 

A chi spetta informare ed educare i cittadini?

Secondo gli intervistati, la responsabilità di informare ed educare il pubblico sulle azioni che dovrebbero essere intraprese in Italia per combattere il cambiamento climatico spetta, principalmente, ai dipartimenti governativi e ministri/funzionari eletti (46%), seguiti dagli enti locali (42%), i media (41%) e gli scienziati (37%). Inoltre, il 29% degli italiani sostiene che sia compito della scuola, il 16% delle aziende, il 12% degli attivisti ambientali, e soltanto per il 9% dei datori di lavoro. 

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Italiani appassioni di esports, e il mercato cresce

Ben 47 milioni di euro: a tanto ammonta il giro d’affari dei videogiochi competitivi nel nostro paese, in base agli ultimi dati rilevati nella ricerca di IIDEA e Nielsen “Landscape del settore esports in Italia”. E la crescita è ancora più evidente se si osservano le percentuali: l’aumento dell’impatto economico è superiore del 4%. L’impatto economico diretto, ossia direttamente collegato all’occupazione generata dal settore, è di circa 38 milioni di euro a fronte dei 30 della precedente analisi. Di questi, il 55% (20,9 milioni) viene generato dai team di esports, seguiti dagli organizzatori con il 22% (8,4 milioni) e dai publisher con il 5% (2 milioni). Il restante 18% (6,7 milioni), riferisce Adnkronos, viene generato da altre tipologie di società che operano nel mondo esports (es. venue dedicate, produttori hardware, sviluppatori e altre categorie non assimilabili alle precedenti). 

Quali sono i professionisti che “costano” di più?

Le principali categorie di spesa, in termini di occupazione, variano in relazione alla tipologia di entità considerata. I ruoli che all’interno del settore pesano maggiormente sul totale dei costi per il personale sostenuti sono pro-player, content creator e analyst/coach per i team, caster e commentatori, project manager e content creator per gli organizzatori e occupazioni in ambito marketing e PR per i publisher. L’impatto economico indiretto, generato da tutte le spese correlate al mondo degli esports, come i servizi ausiliari e il merchandising, è invece superiore a 10 milioni di euro. A differenza di quanto rilevato per l’impatto diretto, sono i publisher che contribuiscono maggiormente con il 64% (circa 6,9 milioni) del totale. I team generano il 19% del valore indiretto mentre gli organizers il 14%. Il rimanente 3% (348mila) è riconducibile alle restanti categorie di società operanti nel settore. Le principali categorie di spesa sono marketing, travel/accomodation, finance/legal e amministrazione per i team, HR/personale, equipment e rental, finance/legal e amministrazione per gli organizzatori e infine marketing e merchandising per i publisher.

Qual è il target di riferimento?

Il target di riferimento si caratterizza per essere giovane, ricettivo e reattivo, e le interazioni che avvengono con esso sono basate sul coinvolgimento diretto (tanto come giocatore quanto come fruitore di esperienze e contenuti e come acquirente). I fan Esports e sono un target esigente per quello che riguarda le prestazioni, le esperienze di gioco e il coinvolgimento. I risultati ottenuti tramite partnership, eventi ed experience, hanno dato agli attori coinvolti nel mondo esports una connotazione di eccellenza e un vantaggio competitivo in termini di percezione del proprio brand. Oltre ad incrementare l’awareness i brand hanno anche ottenuto buoni risultati in termini di customer acquistion nonché di networking e interazioni B2B. La partecipazione al mondo Esports sta avvenendo sia per via diretta (tramite la fornitura di prodotti dedicati) che indiretta (attraverso sponsorizzazioni o altre tipologie di investimenti).

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Dimissioni in aumento, e le aziende faticano a trattenere i talenti 

Nel primo semestre 2022 il 60,1% delle aziende italiane ha riscontrato un numero maggiore di dimissioni rispetto al 2021. Secondo i responsabili HR i motivi dell’aumento delle dimissioni sono riconducibili a diversi fattori, da un ritrovato coraggio di cambiare lavoro a una nuova consapevolezza delle priorità da parte dei professionisti (30,3%). E soprattutto da parte dei giovani, la ricerca di nuove opportunità di carriera e un miglior bilanciamento tra vita privata e professionale (29,8%).  La conferma arriva dall’indagine InfoJobs Attraction Retention, che a inizio anno segnalava come il 41,1% delle aziende indicasse nell’attrarre e trattenere i talenti la sfida più importante. In un mercato sempre più difficile, con le dimissioni in crescita e difficoltà a trovare personale qualificato, trattenere i talenti è infatti una leva chiave per la competitività.

Le aziende puntano sui pacchetti welfare

Il 30,4% delle aziende dichiara però di non intraprendere azioni concrete per trattenere i talenti, soprattutto per il fattore economico (17,9%), anche se il 69,6% dichiara di avere programmi ad hoc. Primo tra tutti (45,9%), il pacchetto welfare aziendale (formazione continua, lavoro agile, benefit e percorsi di crescita), seguito dall’impegno per un modello organizzativo più partecipativo (37,6%), percorsi di carriera chiari e concreti (33,8%), percorsi di formazione professionale (33,1%), e attività di team finalizzate alla costruzione di un clima collaborativo e di fiducia (27,1%). Secondo gli HR, per sottrarre o attirare talenti si utilizzano il fattore economico (60,2%), un migliore equilibrio vita privata-lavoro (17,2%), la possibilità di carriera (11,7%) e il caring (10,9%).

Il malcontento dei lavoratori 

Dall’indagine emerge un generale malcontento: l’80,9% dei dipendenti non consiglierebbe l’azienda per la quale lavora, a causa dell’ambiente di lavoro poco stimolante (52,1%), stipendio e benefit poco soddisfacenti (28,8%). E il 66,7% non si sente valorizzato. Uno scenario alimentato, soprattutto, dalla decisione di assumere risorse esterne all’azienda anziché valorizzare le potenzialità interne (37,6%). Aziende e candidati confermano che la leva economica è essenziale per acquisire talenti o restare. Il 52,7% dei dipendenti afferma infatti che la propria soddisfazione migliorerebbe a fronte di un salario più adeguato e in crescita nel corso degli anni, parallelamente a un percorso di carriera ben sviluppato. Smartworking, orario flessibile, una leadership che supporti e valorizzi le proprie risorse, sono altri fattori fortemente motivanti, sostenuti dal 22,3% degli intervistati.

Occorre modificare l’approccio culturale

Le aziende dovranno fare i conti con dimissioni in caso di scarsa motivazione e poca considerazione dei dipendenti (38,3%). Dovranno quindi modificare l’approccio culturale, ascoltando maggiormente (31,2%) e dialogando con i dipendenti per trovare punti di incontro (25%). L’orizzonte temporale a 5 anni, riporta Adnkronos, restituisce la fotografia di candidati che si vedono impegnati nella ricerca del nuovo, spinti dalla voglia di crescere e imparare (41,7%), nei panni di imprenditore (37,2%), o in un’azienda più affine alle proprie caratteristiche (13,2%). Solo il 7,9% ‘si vede’ nella stessa azienda, di cui apprezza l’ambiente di lavoro e l’attenzione ai dipendenti, ma in una posizione di maggiore responsabilità.

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Amici, quante relazioni si possono mantenere davvero?

Centocinquanta. Non una di più, non una di meno. A tanto ammontano le relazioni, degne di chiamarsi tali, che ogni individuo può mantenere contemporaneamente. La cifra non è data a caso: si tratta del numero di Dunbar, che prende il nome del professore dell’Università di Oxford che lo teorizzò. Come riferisce l’Agi, “gli studi di Dunbar sostengono che le persone provenienti da famiglie numerose hanno meno amici perché danno la priorità ai membri della famiglia”, però Dunbar, psicologo evoluzionista, “organizza queste 150 connessioni in cerchi concentrici segnati dalle differenze qualitative delle relazioni”. Pertanto la teoria “limita la cerchia degli amici a 5 e la cerchia degli intimi tra una e due persone”. Il numero è tuttavia un’approssimazione ma le connessioni, secondo lo studioso, possono variare tra 100 e 250. Il “numero di Dunbar” è in ogni caso stato messo in discussione da altri studi, tra cui quello di Johan Lind, professore dell’Università di Stoccolma, che sostiene invece che non c’è limite numerico nelle relazioni umane, ma un altro studio del 2016 individua in 6 o poco più il numero di amici necessario e sufficiente per poter migliorare le nostre vite. Di più non servirebbero.

La definizione di relazione

Il professor Dunbar ancora oggi sostiene e difende la sua ricerca, a discapito di quella svedese che avrebbe definito “folle”. Secondo lo psicologo, ai ricercatori dell’Università di Stoccolma hanno condotto un’indagine statistica imprecisa e frainteso sia le sfumature delle sue analisi sia delle connessioni umane. “Mi meraviglio della loro apparente incapacità di comprendere le relazioni”. Il dottor Dunbar definisce le relazioni significative come quelle persone che conosci abbastanza bene da salutare senza sentirti a disagio se le incontri in una lounge dell’aeroporto. Quel numero in genere varia da 100 a 250, con una media di circa 150.

Come si “misura” l’amicizia

E’ ancora il professor Dunbar nel suo libro “Amici: comprendere il potere delle nostre relazioni più importanti”, a definire i sette parametri che possono definire l’amicizia. SI tratta di: numero di ore trascorse insieme in spazi comuni, come scuola, lavoro, chiesa, o praticando uno sport o un hobby; l’attenzione a non perdere di vista chi potrebbe diventare amico; l’intenzione di prendere l’iniziativa; le idee per continuare a fare cose insieme; il coltivare l’immaginazione comune mentre, l’ultima, è la forza di saper perdonare.

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Moda sostenibile e prodotto connesso, un binomio che piace

La cultura dell’usa e getta non va più di moda, oggi i consumatori si aspettano esperienze e servizi che li aiutino a contribuire a coltivare abitudini sostenibili con i marchi e i prodotti di moda. Inoltre, il numero di prodotti connessi cresce rapidamente, e i consumatori sono sempre più propensi a scannerizzare etichette con lo smartphone per accedere a contenuti e servizi digitali. Secondo lo studio di Certilogo la sostenibilità di un prodotto influenza le scelte d’acquisto, e la richiesta di trasparenza è esplicita anche da parte dei consumatori. I Millennial sono i più attenti a fare acquisti ‘amici dell’ambiente’, e 3 su 4 dichiarano di preoccuparsene molto, rispetto a 6 su 10 Gen Z.

Recuperare il massimo valore dagli acquisti

Inoltre, il 93% dei consumatori ritiene che i prodotti che offrono l’accesso a servizi legati alla sostenibilità siano utili, e 1 su 5 ritiene estremamente importanti le certificazioni ‘green’. Le nuove normative nell’ambito della Direttiva Europea sui Tessili Sostenibili e Circolari obbligheranno infatti i marchi della moda a dotare i prodotti di una identità digitale e un passaporto digitale del prodotto in grado di informare i consumatori dell’impatto ambientale del loro acquisto. E ora che i consumatori aspirano a divenire più responsabili sono sempre più interessati a recuperare il massimo valore possibile dai loro acquisti. Oltre il 70% dei consumatori si aspetta di recuperare in parte il valore del prodotto, e la rivendita sembra il metodo più popolare (35,6%). Inoltre, il 16,3% restituirebbe più volentieri il prodotto al brand produttore affinché lo ricicli in cambio di un riconoscimento del suo valore in qualche forma.

È fondamentale che un prodotto sia autentico e legittimo

Ma anche sapere che un prodotto è autentico e legittimo è fondamentale per i consumatori, che considerano l’autenticazione il servizio di sostenibilità più utile in assoluto quando si collegano a un prodotto connesso. Questi nuovi comportamenti dall’impronta ‘green’ possono essere sfruttati in maniera lungimirante dai brand per creare una relazione nuova, vera e reciprocamente proficua con i clienti. Ad esempio, i servizi che estendono la vita del prodotto possono ridurre lo spreco, nonché la produzione di articoli non indispensabili: come quelli di cura e di riparazione, richiesti da più del 40% dei consumatori. Perché i servizi che abilitano la circolarità aiutano a ridurre i rifiuti e l’impiego di materie prime.

I brand devono superare i confini dello storytelling “green”

Per massimizzare sostenibilità e rilevanza, i brand devono quindi superare i confini dello storytelling, offrire esperienze che vadano oltre ‘il racconto delle iniziative green’, e riconoscere il ruolo fondamentale che i consumatori devono giocare per ridurre l’impatto sociale e ambientale dell’industria fashion. I brand che mancheranno di intraprendere i passi giusti verso la sostenibilità, e che non sapranno creare una connessione diretta e duratura con i loro clienti, rischiano di vedersi puniti dai consumatori, oltre che dagli enti regolatori europei e americani.

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Reddito di Cittadinanza: un bilancio del primo triennio

Secondo i dati del Coordinamento generale statistico INPS in tre anni oltre 2 milioni di nuclei familiari, circa 4,65 milioni di persone, hanno ricevuto il pagamento di almeno una mensilità del Reddito di Cittadinanza, e il totale erogato al 17 gennaio 2022 corrisponde a quasi 20 miliardi di euro.
Numeri che mostrano la validità di questo strumento di sostegno, ma che raccontano anche di tante persone in difficoltà economica. Il Reddito di Cittadinanza è infatti una forma di sostegno economico finalizzato al reinserimento lavorativo e all’inclusione sociale, istituito con decreto legge nel gennaio 2019 e diventato operativo dal 6 marzo dello stesso anno. Qualora il nucleo familiare sia composto da uno o più soggetti di età pari o superiore a 67 anni, oppure se sono presenti persone di età inferiore in condizione di disabilità grave o non autosufficienti, il Rdc diventa Pensione di Cittadinanza (Pdc).

Nei primi tre mesi dall’entrata in vigore hanno aderito 859mila famiglie

Nei primi tre mesi dall’entrata in vigore (aprile-giugno 2019) 859mila nuclei familiari hanno aderito alla misura. In seguito, circa 250mila per semestre, con picchi in corrispondenza dei momenti più critici della pandemia. Da aprile 2019 a dicembre 2021 il numero di coloro che sono entrati e usciti dalla prestazione nello stesso semestre è di 64.477 nuclei. Il 70% di coloro che hanno ricevuto il beneficio per la prima volta tra aprile-giugno 2019, risulta ancora beneficiario. Non vi sono infatti limiti di durata alla fruizione della misura, che può essere protratta nel tempo previa verifica dei requisiti ogni 18 mesi.

Il 44,7% appartiene a un nucleo di un solo componente adulto

A dicembre 2021 i nuclei familiari che hanno ricevuto Rdc o Pdc sono 1.375.728. Il 44,7% appartiene a un nucleo di un solo componente adulto, e il 67,3% è senza minori, con leggera predominanza maschile (51,5%). Sempre a dicembre 2021, 439.737 percettori hanno ricevuto un importo medio mensile tra 400-600 euro, e quasi 300mila hanno percepito tra 600-800 euro. Nella fascia tra 800-1.000 euro spariscono i nuclei monocomponente, mentre nella fascia oltre 1.200 euro si contano 11.427 nuclei familiari, quasi tutti con almeno 4 componenti. Inoltre, delle 3.048.988 persone appartenenti ai nuclei familiari beneficiari di Rdc e Pdc a dicembre 2021, una su quattro è minorenne, e due su tre risiedono al Sud.

Agevolare il rientro nel mondo del lavoro

Uno degli aspetti più importanti del Rdc è rappresentato dalla finalità nell’agevolare il rientro nel mondo del lavoro. Dall’analisi sui primi tre anni della misura, emerge come su una percentuale di 100 soggetti beneficiari di Rdc e Pdc, escludendo il 41,8% costituito da minorenni, anziani, disabili e pensionati, il 58,2% è rappresentato da ‘teoricamente occupabili’. Tra questi, il 18,7% risulta ‘ready to work’, coloro che attualmente hanno una posizione contributiva contemporanea al Rdc, il 24,9% ha una posizione contributiva precedente al 2017, e il 14,6% non è mai stato occupato.

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Lavoro, orario fisso o no? Cosa vogliono gli italiani

Posto fisso si, orario fisso no. Ecco cosa chiedono i lavoratori dopo la rivoluzione messa in atto dalla pandemia e il duetto di nuove forme di lavoro, a cominciare dallo smart working. In sintesi, i dipendenti chiedono ai loro responsabili maggiore flessibilità e di dare la priorità a fattori quali la fiducia, il purpose aziendale e il benessere. Emerge da una nuova ricerca di ManpowerGroup, multinazionale specializzata nelle innovative workforce solutions, e Thrive, azienda fondata da Arianna Huffington e leader nelle soluzioni tecnologiche per il cambiamento dei comportamenti. La ricerca, denominata What workers want: dalla ricerca alla realizzazione sul lavoro, si basa su un’indagine condotta su oltre 5.000 lavoratori in cinque Paesi di cui più di un migliaio in Italia e rivela che la quasi totalità dei lavoratori italiani (96%) considera la flessibilità importante. Tuttavia, la natura di tale flessibilità varia. 

Flessibilità su misura

In questo momento la richiesta delle persone è di una flessibilità ritagliata sulle loro esigenze, con il 51% che vuole scegliere l’orario di inizio e fine lavoro e il 17% che sarebbe disposto a rinunciare a un giorno di stipendio per lavorare quattro giorni alla settimana, pur di raggiungere un migliore equilibrio tra vita privata e lavoro. I risultati indicano anche che il ruolo dei leader sta cambiando, poiché la fiducia e i valori condivisi sono sempre più importanti e i lavoratori sono disposti ad andarsene se non si sentono adeguatamente supportati.
“In questi anni sono cambiate profondamente le esigenze e le richieste delle persone nel mondo del lavoro. La pandemia ha accelerato i cambiamenti contribuendo a mettere al centro il benessere delle persone, in Italia come nel resto del mondo”, ha dichiarato Anna Gionfriddo, amministratrice delegata di ManpowerGroup Italia. “A ciò si aggiunge un fattore chiave nel mercato del lavoro odierno, ovvero la scarsità dei talenti: nel nostro Paese i datori di lavoro prevedono assunzioni in crescita del +23% per il terzo trimestre di quest’anno, ma a tale dato si contrappone una sempre maggiore difficoltà a trovare i talenti necessari, come riportano quasi tre aziende su quattro. In questo contesto, l’attenzione verso le necessità e i bisogni delle persone, fuori e dentro il luogo di lavoro, da parte dei leader d’azienda, assume una rilevanza fondamentale per trattenere i migliori talenti, attirarne di nuovi e crescere con essi”.

Il ruolo della fiducia

Un altro elemento interessante che emerge dalla ricerca è il ruolo della fiducia. Si scopre che la fiducia è un fattore chiave per una forza lavoro sana e felice. La fiducia nei colleghi è giudicata importante dall’82% dei lavoratori italiani, seconda solo all’equità della retribuzione (88%) e alla sicurezza delle condizioni di lavoro (87%), mentre la fiducia nei leader è stata giudicata un requisito necessario da più di due terzi degli intervistati (69%). Inoltre, le persone vogliono lavorare per aziende con cui condividono valori e convinzioni (69%), e il 73% cerca un significato personale nel proprio lavoro quotidiano.

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Gli italiani vogliono passare meno tempo online

Nonostante aumenti la domanda di connettività, contenuti tv e streaming, il 41% degli italiani è pronto a ridurre il tempo trascorso online. È quanto emerge dall’EY Decoding the digital home study, ricerca condotta su 2.500 famiglie in Italia e più di 20.000 a livello globale.
“Il tempo trascorso online si sta stabilizzando se non addirittura riducendo, a fronte di un aumento degli standard qualitativi richiesti dagli utenti in termini di servizi e contenuti”, commenta Irene Pipola, Italy TMT Leader di EY.
Inoltre, il 63% degli italiani teme un aumento dei prezzi degli abbonamenti mensili ai servizi di connettività e il 44% teme di pagare troppo per contenuti che non guarda.

Occhio al portafoglio

Per sei italiani su dieci, il prezzo è il fattore primario nella scelta di un servizio in streaming. Seguono la specificità del contenuto (41%) e l’ampiezza dell’offerta (38%). In attesa di questa maturazione qualitativa, a oggi il prezzo resta l’elemento chiave. E per battere la concorrenza, il trend è chiaro: si applicano sconti e si accorpano i servizi in pacchetti. La propensione all’acquisto dei cosiddetti bundle sta crescendo in Italia a un ritmo più sostenuto rispetto al 2021 (87% contro il 74%). Se l’attenzione alla convenienza è una costante (il 53% delle famiglie è interessato agli sconti) stanno cambiando le esigenze: circa la metà degli intervistati sarebbe infatti interessata ad acquistare, insieme alla rete fissa, servizi tv o servizi di sicurezza online e tutela della privacy.

Confusione e alta infedeltà

Ancora oggi però molte famiglie faticano però a comprendere il contenuto delle offerte e le differenze tra i servizi proposti. Sorprende che questo fenomeno riguardi soprattutto i più giovani (35% fra i 18-24 anni), che ritenngono le offerte dei servizi di telecomunicazione difficili da comprendere.
Una conferma della mancanza di chiarezza arriva anche dall’analisi delle offerte per i nuovi clienti: uno su due reputa difficile comprendere quale sia il pacchetto migliore. La confusione si traduce anche in scarsa fedeltà: circa un quarto dei clienti prevede di cambiare il proprio fornitore di servizi internet, linea mobile o video streaming e pay tv nei prossimi 12 mesi.

Privacy, benessere e sostenibilità

Quanto alla privacy, il 63% degli italiani afferma di essere estremamente prudente nel condividere informazioni personali online. Gli utenti sono preoccupati anche per l’intreccio tra tecnologie e benessere: uno su tre pensa spesso all’impatto negativo di internet sul proprio benessere psicofisico (41% tra i 18-24 anni). Emergono poi forti preoccupazioni per i contenuti illeciti. Il 61% ritiene che i governi e le autorità di regolamentazione non stiano facendo abbastanza per contrastare la diffusione di contenuti dannosi online.La platea digitale italiana, riferisce Agi, si dimostra attenta anche alla sostenibilità. Il 38% è disposto a pagare di più per prodotti sostenibili, ma il 43% ritiene che gli operatori non stiano facendo abbastanza per l’ambiente.

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Social Media, la metà della popolazione del mondo li usa

Social Media, croce e delizia delle nostre giornate. Per moltissimi di noi, infatti, i social sono la principale fonte di comunicazione, informazione, intrattenimento e pure lavoro. Fatto sta che in occasione del Social Media Day, che cade il 30 di giugno, si scopre che poco meno della popolazione mondiale li utilizza. Ma la giornata è stata anche il momento per fare il punto su questo fenomeno incredibile e ripercorrerne le tappe.

Il primo fu Friendster

Come ricorda il sito specializzato americano Mashable, che ha lanciato il Social Media Day nel lontano 2010, la prima piattaforma di social media è stata Friendster nel 2002, poi è arrivato Linkedin nel 2003 e Facebook nel 2004 che ha sbaragliato.L’aggiunta più recente all’elenco dei pesi massimi dei social media è TikTok. L’app è stata lanciata nel 2016, ricorda Ansa, ed è diventata popolare soprattutto tra i giovani grazie alle sue funzionalità di musica e video.

4,6 miliardi di persone utilizzano le piattaforme social

Secondo una statistica di SmartinsIghts oltre la metà della popolazione globale usa i social media (il 58,4%, pari a 4,62 miliardi di persone), l’utilizzo medio giornaliero è di 2 ore e 27 minuti. Queste piattaforme sono però diventate un grimaldello per i cybercriminali per risalire alle abitudini degli utenti e alle password usate. Per questo gli esperti della società di sicurezza Yoroi consigliano di limitare la condivisione di informazioni personali, usare email, login e password diverse per i differenti servizi che usiamo, costruire password lunghe, robuste e complesse senza riferimento a hobby, passioni e residenza.

Un impatto incredibile

I social media non solo connettono le persone con la famiglia e gli amici, ma per molte persone rappresentano un lavoro a tutti gli effetti. L’impatto socio-economico e culturale dei social media sulla società e sull’economia è stato impressionante e il Social Media Day riconosce questo potere. Un altro motivo per cui Mashable ha lanciato la giornata mondiale dei social è per dimostrare l’apprezzamento che queste piattaforme hanno e hanno avuto sulle comunicazioni in tutto il mondo. Nonostante tutte le preoccupazioni associate ai social media, è una dato di fatto che le piattaforme più utilizzate hanno dato voce alle persone comuni e hanno dato speso l’opportunità di informare “dal basso” l’opinione pubblica. Non è tutto negativo, quindi: e la giornata ricorda che è importante celebrare ciò che c’è di bello nell’universo social, cominciando banalmente a scoprire le potenzialità della piattaforme senza pregiudizi.

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