Apple: arriva una svolta epocale per le riparazioni degli iPhone?

Una novità che dovrebbe migliorare l’accesso a riparazioni sicure, ma a costi contenuti. A  partire da quest’anno, Apple renderà disponibili ai possessori di iPhone che necessitano di riparazioni parti usate selezionate per alcuni modelli. Apple ha infatti annunciato una svolta significativa nella sua politica di riparazione degli iPhone, introducendo la possibilità dell’uso di componenti di seconda mano. 

La mossa di Apple rappresenta sicuramente un passo avanti per l’azienda nel campo della sostenibilità e dell’autonomia degli utenti. Anche perché queste riparazioni potranno essere eseguite sia da utenti competenti sia da terzi indipendenti.
E tra i primi componenti che saranno messi a disposizione ci saranno i sensori biometrici per il Face ID (riconoscimento facciale attraverso uno scanner 3d) e il Touch ID (riconoscimento tramite lettore di impronte digitali).

Ogni iPhone conserverà un registro completo di tutte le riparazioni effettuate

In ogni caso, la politica di Apple, finalizzata a verificare l’autenticità delle parti e la cronologia dell’hardware, resterà in vigore. Tanto che ogni dispositivo conserverà un registro completo delle riparazioni effettuate, indicando se sono state usate parti nuove o di seconda mano. 

In un ulteriore sforzo per semplificare il processo di riparazione, Apple ha anche annunciato un’ulteriore novità: coloro che riparano i dispositivi non dovranno più fornire i numeri di serie quando ordinano le parti di ricambio, a meno che non si tratti di sostituire la scheda madre.

Il problema dello smaltimento dei rifiuti elettronici

Il programma di auto-riparazione di Apple è stato lanciato per la prima volta negli Stati Uniti nel 2022, per poi espandersi in vari altri Paesi nel mondo.
Con il recente aggiornamento dell’11 aprile, il programma ora supporta 40 prodotti Apple in 33 Paesi e altri territori.

L’introduzione di questa politica avviene in un momento in cui le autorità di alcuni tra i mercati principali di Apple hanno espresso critiche aperte verso le politiche dei produttori di dispositivi riguardo alle riparazioni. Soprattutto in riferimento al problema dello smaltimento dei rifiuti elettronici, che ogni anno si accumulano in quantità enormi.

Anche altri produttori hanno lanciato schemi di riparazione simili

Seguendo una tendenza che sembra orientata a prolungare la vita utile dei dispositivi, riporta Adnkronos, anche altri produttori come Samsung e Google hanno lanciato schemi di riparazione simili.

Si tratta di un cambio di passo per l’industria dell’elettronica di consumo, che ora sembra voler adottare pratiche più sostenibili e più orientate al consumatore.

Anche il Food diventa tech: il 2024 sarà l’anno dell’AI al ristorante

Il 2023 della ristorazione verrà ricordato come l’anno della diffusione capillare dell’AI. Quattro ristoratori su 10 ne hanno fatto uso in maniera costante, e per il 2024 il 73% dichiara di volerne implementare o potenziare l’uso per proporre contenuti sempre più calibrati sul gusto dei clienti. Come? Tramite l’uso di chatbot e strumenti generativi di foto e video. 

Insomma, dalla robotica alle automazioni di ordini e prenotazioni, dai software gestionali alle strategie di comunicazione e marketing, nel 2023 si consolida l’impiego di tecnologie in sala e in cucina.
A quanto emerge dalla ricerca ‘Tecnologia in Ristorazione – Scenari e Opportunità’, effettuata dall’Osservatorio Ristorazione, per un ristoratore su due questi strumenti consentono di far risparmiare allo staff fino a 20 ore di lavoro a settimana.

Dalla sala alla cucina l’innovazione è al servizio della ristorazione

L’84% dei ristoratori utilizza strumenti tecnologici in sala, in prevalenza gestionali di cassa, prenotazioni e ordini. Il 9% utilizza sistemi di self order, tra totem e menu digitali integrati con la cassa, che consentono di risolvere il problema del reperimento di personale ai tavoli.
Solo l’1% dispone di robot di sala.

I ristoratori che utilizzano tecnologia in cucina rappresentano il 77% e fanno ricorso a supporti in grado di elevare la qualità della produzione.
Tra gli impieghi, spopolano i software per la gestione del magazzino e il calcolo del food cost, sistemi di ricezione e gestione delle comande, e per il 16%, l’utilizzo di robotica da cucina.
Anche in questo caso, l’impatto principale è sul lavoro più operativo, senza sacrificare a creatività degli chef.

Anche la comunicazione con i clienti diventa digitale

All’esterno del ristorante, il 95% mette in moto azioni di marketing digitale nei confronti del mondo esterno.
Sul podio degli strumenti più utilizzati, social media (91%), piattaforme per le prenotazioni (73%) e WhatsApp Business (60%).
Molto utilizzati anche i software per l’email marketing (49%) e le piattaforme di intermediazione (The Fork, Just Eat, Deliveroo e affini, 24%).

Il 12% dichiara inoltre di utilizzare e-commerce per vendere i propri prodotti, l’8% di declinare la comunicazione in prodotti editoriali come podcast e web-radio, e il 6% di fare ricorso ai canali Telegram per aggiornare i propri clienti.

Intelligenza artificiale per tutti gli usi

Il 78% dei ristoratori nel 2023 ha fatto uso dell’AI per velocizzare o migliorare la stesura di testi, come contenuti social, e-mail e app di messaggistica. Ampio impiego (tra 23% e 35%), anche per l’elaborazione di piani editoriali, traduzioni, descrizioni dei piatti, stesura di procedure interne, ricerca di informazioni e dati.

Alla domanda sulle previsioni di utilizzo dell’AI nel 2024, riporta Adnkronos, la percentuale relativa alla stesura di testi per comunicare verso l’esterno cala al 54%, mentre crescono notevolmente l’analisi di dati (dal 13 al 40%), la produzione di idee creative (37%, 53%), la generazione di foto e video (36%, 47%) e la ricerca di spunti per le ricette (23%, 33%).

Cos’è la nuova tendenza del #nospendchallenge?

La società si trasforma rapidamente e oggi uno degli imperativi principali è risparmiare. Risparmiare in tutti i sensi, e non solo in merito all’aspetto economico. L’attenzione alle spese, infatti, ha riverberi in moltissimi ambiti: il desiderio di condurre una vita senza sprechi, in perfetto stile minimal, fa bene al budget ma anche all’ambiente.

In questo contesto nasce la #nospendchallenge, ovvero la sfida a non acquistare nulla che non sia strettamente necessario. Obiettivo dichiarato è non spendere, non solo per motivi economici, ma anche per ridurre l’impatto ambientale.

Una sfida che richiede disciplina

Nella teoria la sfida è semplice, ma nella messa in pratica richiede un certo rigore, per non dire una buona disciplina. L’idea è di astenersi dall’acquisto di qualsiasi cosa non essenziale per un periodo predeterminato, che può variare da una settimana a un anno. Le spese essenziali, come mutuo, bollette, cibo e medicinali, sono ovviamente escluse dalla challenge.

Cosa non ci serve?

Per affrontare e superare la #nospendchallenge arrivano anche i consigli degli esperti. La prima dritta è quella di identificare in anticipo le cose a cui non si vuole rinunciare e limitarsi a spendere solo per esse. Con questo presupposto, possono rimanere escusi dalla lista della spesa tantissimi beni e servizi:  basta all’acquisto di libri, vestiti, pranzi e cene fuori casa, junk food, cosmetici, bevande non essenziali, elettronica, media in streaming, prodotti per la pulizia, complementi d’arredo e altro.

Una scelta che fa bene al Pianeta

Il motivo principale dietro la sfida, riferisce Adnkronos, è ridurre il gigantesco impatto ambientale che hanno gli acquisti compulsivi. La sovraproduzione, alimentata dal fast fashion e da simboli di status, ha portato a un aumento dei costi ecologici legati ai trasporti e ai resi. Il prezzo ambientale di tutto ciò? Completamente fuori controllo e non più sostenibile.

La Generazione Z, particolarmente sensibile alle questioni ambientali, è stata tra le prime ad abbracciare la sfida. Il boom dello shopping online, spinto anche dalla pandemia e dai lockdown, ha comportato un elevato costo ambientale, legato soprattutto agli imballaggi e alle emissioni generate dal trasporto dei prodotti. Nell’e-commerce, anche la pratica dei resi online è particolarmente onerosa in termini di prezzo ambientale, dato che risulta cinque volte superiore rispetto a quella che si registra nei negozi fisici.

Basta acquisti compulsivi 

La #nospendchallenge mira a spezzare il circolo vizioso dell’acquisto compulsivo, promuovendo l’economia circolare e la creatività nel riutilizzo degli oggetti già posseduti. Si tratta di un approccio utile anche per far sviluppare tra i giovani una certa consapevolezza finanziaria. Le nuove generazioni, infatti, spesso non valutano attentamente quanto denaro hanno a disposizione prima di effettuare acquisti. In conclusione, la sfida dimostra che è possibile vivere con meno, contribuendo positivamente all’ambiente, al portafoglio e probabilmente anche alla salute mentale. 

Lavoro: quanto sono ambiziosi gli italiani?

Equilibrio tra vita e lavoro, retribuzione, sicurezza, flessibilità, giorni di ferie, formazione e assicurazione sanitaria: sono questi oggi i fattori più rilevanti per i lavoratori italiani, mentre la carriera è finita solo al nono posto.
In pratica, oggi si dà più importanza alla vita privata e all’equilibrio con il lavoro, all’appartenenza e alla flessibilità, piuttosto che al salto di carriera.

La rilevanza del lavoro percepita nella vita degli italiani è infatti calata del 5% in un solo anno, mentre è crollata del 9% la motivazione nel ruolo attualmente ricoperto.
È quanto emerge dallo studio condotto da Randstad su ambizione e carriera tra gli italiani, il Randstad Workmonitor 2024.
Secondo la ricerca, che ha coinvolto 764 lavoratori in Italia tra 18 e 67 anni, oltre la metà degli intervistati si dichiara però ‘ambizioso’ in merito al proprio lavoro, ma il 42% in questo momento non è concentrato nell’avanzamento di ruolo.

Più ambizione, ma la carriera non è più al primo posto

Inoltre, il 50% dei lavoratori è disposto a rimanere in un luogo di lavoro che gli piace anche se non ci fosse possibilità di avanzamento, mentre il 34% non desidera del tutto una progressione di carriera.
Solo per il 35% una promozione o un nuovo ruolo oggi rappresentano una priorità.

Il 34% degli italiani poi non assumerebbe ruoli manageriali se potesse scegliere di poter accedere alla propria massima ambizione professionale. Ma secondo il Randstad Workmonitor, il 51% del campione si dichiara ambizioso per la propria carriera.

L’ambizione decresce con l’età

Di fatto, mentre l’ambizione decresce con l’avanzare dell’età la motivazione aumenta man mano che sale la seniority.
A influenzare l’ambizione è soprattutto l’età, gli eventi della vita, gli obiettivi personali e le opportunità che si presentano.

Il 94% degli intervistati mette la vita privata al primo posto dei fattori più rilevanti nel lavoro, poi la retribuzione (93%), sicurezza del lavoro (90%), il sentirsi realizzati (87%), la flessibilità di orario (80%) e così via, fino alla possibilità di promozione, al nono posto, con il 74% e di poco sopra la politica sui congedi parentali (70%).

Segnali di un evidente segnale di malessere 

“Il Workmonitor evidenzia una forte calo della motivazione al lavoro tra gli italiani, un evidente segnale di malessere che va ascoltato e compreso – commenta Marco Ceresa, Group Ceo di Randstad -. Il lavoro si conferma fondamentale nel fornire senso e scopo alle persone, ma oltre alla carriera, sempre più lavoratori includono anche altro nella definizione della propria ‘ambizione’ professionale, che oggi non può prescindere da aspetti valoriali, di flessibilità, di equilibrio con la vita personale. Non sono pochi gli intervistati che affermano di poter essere appagati da un lavoro senza prospettive di carriera ma che sia nelle ‘loro corde’, certamente un’eredità della riflessione profonda delle persone nel periodo di pandemia. Esigenze che le aziende devono impegnarsi a soddisfare con politiche Hr a tutto tondo, tenendo conto dei bisogni dei lavoratori sempre più complessi e articolati”.

Cybersecurity: quali sono stati i rischi phishing di fine anno?

Alcuni siti di phishing mirano a ottenere dati infiltrandosi sotto varie spoglie nei social media e negli account di messaggistica personali degli utenti. Quindi, richiedono informazioni che una volta ottenute vengono inviate direttamente nelle mani dei truffatori.
In questo modo, i truffatori ottengono l’accesso completo all’account, portando potenzialmente al furto dell’identità digitale, all’accesso alle conversazioni private e alla possibilità di fingersi la vittima per ulteriori attività dannose.

L’ultimo periodo dell’anno non è immune dalle attività truffaldine. Gli esperti di Kaspersky hanno infatti individuato casi di phishing costruiti proprio intorno alle festività di Natale e Capodanno, dove i truffatori hanno mascherato il furto di dati personali e denaro come omaggi per le feste.

A Singapore il falso sito del Ministero delle Finanze che promette pagamenti

Uno di questi episodi di phishing è stato segnalato a Singapore. I truffatori hanno creato un sofisticato sito di phishing rivolto ai privati con la promessa di pagamenti per il nuovo anno, apparentemente provenienti dal Ministero delle Finanze di Singapore.

Questo sito ingannevole è stato progettato per imitare il profilo del ministero in modo da renderlo credibile. Per ricevere il pagamento, veniva richiesto ai visitatori di inserire i dati del proprio account Telegram.

La lotteria delle banche nelle Filippine 

Un’altra tecnica di phishing era una lotteria con le banche. Poiché Capodanno è un periodo di offerte e regali vantaggiosi, i truffatori hanno creato siti di phishing che invitavano gli utenti a partecipare a lotterie con l’obiettivo di ottenere i loro dati bancari per derubarli.
Un caso di frode di Capodanno è stato rivolto ai cittadini delle Filippine, attirati su un sito web dove sono stati invitati a girare una ruota per avere la possibilità di vincere una somma di denaro.

Dopo il lancio, agli utenti è stata mostrata la presunta vincita, ed è stato chiesto di scegliere tra varie banche dove depositare i presunti guadagni.
Dopo aver effettuato la scelta, gli utenti si sono ritrovati su siti di phishing progettati per simulare interfacce bancarie online legittime. La mossa finale della truffa mirava infatti a ottenere l’accesso alle credenziali bancarie.

La finta gift-box di di Courtyard.io

La posta in gioco nel mercato delle criptovalute è molto alta: rubare un portafoglio anche con solo pochi bitcoin può fruttare ai truffatori un profitto significativo. Pertanto, si impegnano molto a creare e-mail e siti di phishing credibili, rendendo così più difficile per l’utente notare qualcosa di sbagliato.

In uno di questi casi i truffatori hanno creato una pagina di phishing copiando l’offerta ufficiale di Courtyard.io, un sito che consente di convertire oggetti fisici da collezione in token. Courtyard.io invitava gli utenti a registrarsi e ad acquistare una gift-box di Capodanno contenente una carta Pokémon.
I truffatori hanno creato una pagina di phishing con la stessa offerta. Ma per ricevere la scatola i visitatori dovevano collegare un portafoglio di criptovalute.

Le emoticon sulla bolletta riducono i consumi

Inflazione, prezzi dell’energia e caro vita spingono a rivedere le abitudini di consumo. Ma un progetto dell’Università di Trento punta a convincere le persone ad adottare un atteggiamento non solo più sobrio ma anche più consapevole sui consumi. Come? Attraverso una comunicazione immediata, anzi, ‘parlante’, dei propri consumi energetici.

Secondo i risultati della ricerca ‘Emozioni per un consumo energetico sostenibile: un’indagine psicofisiologica’, svolta al Laboratorio di Neuroscienze del Consumatore (NCLab) del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento, una ‘faccina rossa’ in segno di disapprovazione, ovvero, che indica un eccessivo utilizzo di energia elettrica, può convincere ad attuare comportamenti più virtuosi e sostenibili. 

Una metodologia sperimentale e neuroscientifica

In pratica, si tratta di ridurre i consumi energetici grazie a un feedback energetico personalizzato ‘emozionale’ (emotional energy-alert).
Di fatto, la ricerca ha confrontato le reazioni comportamentali e fisiologiche dell’utente di fronte a diversi tipi di feedback energetici.

Nella condizione di controllo, come nella bolletta standard, al consumatore venivano comunicati il consumo e il costo. Nella condizione sperimentale (emotional energy-alert), invece, il feedback ricevuto sul telefonino riportava gli stessi dati con l’aggiunta di una faccina scontenta per l’eccessivo consumo.
Veniva poi inserita un’informazione in più: il consumo di energia del vicino di casa, per confrontare comportamenti, spese e risparmi.

Una novità rispetto alla bolletta tradizionale

“Questa è una novità rispetto alla bolletta tradizionale che di solito riporta i consumi in kilowattora e i costi – spiega Nicolao Bonini, responsabile del NCLab -. Aggiungere questo elemento di paragone con un referente sociale, il vicino di casa appunto, aumenta di circa tre volte la probabilità che il consumatore decida di ridurre il consumo elettrico. Oltre a ciò, la faccina rossa, arrabbiata perché si è stati spreconi, aumenta di un 3% la quantità di tale riduzione”.

Ogni consumatore coinvolto è stato testato nel laboratorio. “Abbiamo misurato la sudorazione emozionale, l’espressione facciale e i movimenti oculari, cioè reazioni non controllabili – aggiunge Bonini -. Quando le persone sono esposte al feedback emozionale con faccina e riferimento sociale ‘vicino di casa’, sudano di più rispetto alla situazione di controllo e indicano una maggiore emozionalità negativa”.

Un intreccio tra psicologia ed economia

“I nostri macchinari consentono di misurare dove il consumatore guarda, per quanto tempo, con che dilatazione pupillare, la sudorazione, i cambiamenti del ritmo cardiaco – continua il ricercatore, come riporta Agi -. Tutti questi indici psicofisiologici permettono di misurare l’emozionalità in maniera diretta. In questo modo integriamo dati verbali consapevoli con altri inconsapevoli. Se la politica – riflette il docente – incentivasse i fornitori di energia elettrica a utilizzare questi sistemi, che si chiamano ‘programmi comportamentali per il contenimento dell’energia’, ampiamente utilizzati all’estero, otterremmo gli stessi risultati di quelli a livello internazionale. L’uso di queste tecniche garantisce una riduzione di kilowattora consumati del 2,5%”.

Italiani, quanto ne sanno in fatto di sostenibilità?

La sostenibilità è un concetto noto a tutti, ma solo poco più della metà degli italiani è a conoscenza dell’Agenda 2030, mentre una percentuale ancor minore conosce gli obiettivi ESG.
Questo quadro emerge dall’anticipazione del Rapporto Annuale dell’Esg Culture Lab, intitolato ‘La cultura della sostenibilità in Italia’, curato da Eikon Strategic Consulting Italia Società Benefit.
Secondo il rapporto, il 97% degli italiani ha sentito parlare almeno una volta della sostenibilità, ma solo il 24% sa cosa significhi il termine ESG, acronimo di Environmental, Social, Governance, che rappresenta i criteri fondamentali per valutare la gestione ambientale, sociale e aziendale di un’impresa o un’organizzazione.

Gli obiettivi ESG sono poco noti, anche sui social

Questo dato sulla conoscenza degli ESG si riflette nei contenuti delle principali aziende italiane sui social network. Secondo l’Esg Social Channel Tracker dell’Esg Culture Lab di Eikon Italia Società Benefit, solo l’11% dei circa 146mila contenuti pubblicati da queste aziende tra gennaio e ottobre riguardava temi ESG. Eppure questi post hanno ottenuto un engagement rate migliore (0,48%) rispetto ai contenuti non legati a tali temi (0,31%).

Le aziende si concentrano soprattutto su temi ambientali

Per quanto riguarda i criteri ESG, il Tracker evidenzia che le aziende si concentrano principalmente sulla comunicazione dei temi ambientali (62%), mentre l’area sociale è più marginale (36%). Solo il 2% dei post è dedicato a progetti o iniziative legati alle donne o ai giovani, nonostante i post su queste tematiche raggiungano un engagement rate molto alto (0,64%).

Paola Aragno, vicepresidente di Eikon Italia Società Benefit, sottolinea l’importanza di tali analisi considerando che i social sono una delle principali fonti di informazione sugli obiettivi ESG. Il Rapporto Annuale dell’Esg Culture Lab rivela che oltre il 30% degli italiani apprende degli obiettivi di sostenibilità attraverso i social network, a pari merito con i giornali, con la televisione che rimane la fonte primaria di informazione (59%).

Le nuove sfide della sostenibilità 

L’intero Rapporto Annuale dell’Esg Culture Lab è presentato il 29 novembre a Palazzo dell’Informazione durante l’evento “Le nuove sfide della sostenibilità”, organizzato da Eikon Italia Società Benefit in collaborazione con il Gruppo Adnkronos. All’evento partecipano figure di spicco, tra cui il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e la Presidente Popolari Europeisti Riformatori ed ex ministro per le Pari Opportunità Elena Bonetti.

Parchi divertimento: boom di ingressi, e il futuro è sempre più green

Il comparto dei Parchi Permanenti Italiani è composto da circa 230 aziende tra parchi tematici, faunistici, avventura e acquatici, che assicurano 30.000 posti di lavoro, tra fissi e stagionali, 60.000 con l’indotto.
Secondo i dati SIAE nel 2022 il settore ha generato un giro d’affari di 1 miliardo di euro, tra biglietteria (+75% sul 2021), attività di ristorazione e merchandising.
Cifra che sale a 2 miliardi di euro considerando l’indotto esterno (hotel, centri commerciali e altri servizi). Il miglior risultato dell’ultimo quinquennio, superiore anche ai numeri pre-pandemia (+10,9% sul 2019).
Emerge però la necessità di progettare un futuro green e definire le linee guida di uno sviluppo sostenibile del settore.

Ingressi: 18.463.628 nel 2022

Sul fronte dei visitatori, SIAE certifica per il 2022 18.463.628 ingressi, +72% sul 2021, anche se in lieve flessione (-5%) sul 2019, anno che aveva segnato il record storico.
Al dato SIAE vanno aggiunte le presenze relative a omaggi e operazioni promozionali, per un totale stimato di circa 20 milioni di visitatori.
A livello regionale, il primo gradino del podio è saldamente in mano al Veneto, che ospita la maggiore concentrazione di parchi divertimento, seguito da Emilia Romagna, Lombardia e Lazio.
Quanto alla stagionalità, i mesi estivi si confermano dominanti, seguiti da aprile e ottobre, caratterizzati da un ottimo tasso di affluenza nonostante il numero di parchi aperti sia inferiore.

Investimenti: 450 milioni nel prossimo triennio

Il trend descritto dai dati SIAE prosegue anche nei primi 3 trimestri 2023, complici i 120 milioni di euro investiti da inizio anno in nuove attrazioni, spettacoli e ampliamenti.
La stima è di chiudere al 31 dicembre con un incremento del giro d’affari compreso tra l’8% e il 10%, arrivando a quota 22 milioni di visitatori italiani e 1,7 milioni di stranieri. 
Nel prossimo triennio sono previsti investimenti per circa 450 milioni di euro, che oltre a migliorare la competitività dei parchi italiani sul mercato internazionale, avranno immediate ricadute positive su indotto e occupazione, migliorando anche l’attrattività turistica dei territori di riferimento.

Sostenibilità, fattore crescita per i parchi di domani

“I parchi divertimento vengono considerati energivori, ma in realtà lavorano da anni per ridurre il loro fabbisogno energetico e sono stati tra le prime aziende in Italia a promuovere una vera e propria cultura della sostenibilità, sensibilizzando anche il pubblico: dalla riduzione dei consumi di plastica alle pratiche virtuose basate sul riciclo e sulla circolarità, fino all’impiego di energia da fonti rinnovabili – commenta Maurizio Crisanti, segretario nazionale dell’Associazione Parchi Permanenti Italiani durante la 22° edizione dei Parksmania Awards -. La sfida di oggi, però, è trasformare questa proattività in una vera e propria strategia progettuale, affinché la sostenibilità diventi fattore stesso di crescita per i parchi di domani. Un elemento imprescindibile per garantire un’offerta di tempo libero di qualità alle generazioni future”.

Tech & Durables: rallenta la domanda, ma non per tutti i settori 

Nella prima metà del 2023 tutti i comparti della Tecnologia di consumo registrano un calo dei ricavi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tuttavia, il settore IT e il Piccolo Elettrodomestico rimangono sopra i livelli pre-pandemici. Nello stesso periodo il mercato globale registra una contrazione del -6,3% a valore, con un fatturato di 390 miliardi di dollari. GfK prevede per l’intero 2023 una contrazione a valore del -3,4%. Insomma, a livello globale la domanda di prodotti Tech & Durables continua a rallentare. Il mercato subisce infatti gli effetti del contesto macro-economico, dell’eccesso di scorte e della saturazione della domanda collegata alla crescita record degli scorsi anni.

Italia: -4,9%, fatturato a 7,3 miliardi di euro

Nei primi sei mesi del 2023 in Italia il mercato della Tecnologia di Consumo segna un trend negativo a valore (-4,9%) e un fatturato di 7,3 miliardi di euro. Dopo la crescita degli ultimi anni, anche il mercato italiano sta rallentando, ma non in tutti i settori. La tendenza negativa è legata principalmente dalla performance dell’Audio-Video (-34%) e dell’Information Technology (vendite a valore -8%).
La Telefonia, il settore più importante per fatturato, registra un trend positivo (+3%) e crescono anche i comparti Grande Elettrodomestico e Piccolo Elettrodomestico (rispettivamente +6% e +4%).
Le vendite online rimangono stabili intorno al 26% del fatturato, ma solo la fine dell’anno dirà quanto cresceranno a seguito dei grandi eventi promozionali che generalmente spingono gli acquisti in rete nel Q4.

Inflazione e prezzi elevati le preoccupazioni principali dei consumatori

Secondo lo studio globale GfK Consumer Life, inflazione e prezzi elevati sono tra le preoccupazioni principali per il 35% dei consumatori a livello internazionale. Questo è anche uno dei motivi principali dietro alla contrazione della domanda di prodotti Tech, dove i prezzi medi a livello globale sono aumentati notevolmente rispetto ai livelli pre-pandemici: +29% a giugno 2023 rispetto a gennaio 2020. Il rallentamento del mercato T&D varia comunque da regione a regione, a causa delle differenze nel potere d’acquisto e nei livelli di prezzo. Così, mentre l’Europa occidentale e i Paesi sviluppati dell’Asia registrano una contrazione delle vendite a valore (rispettivamente -6% e -11%), Europa orientale e Medio Oriente continuano a crescere.

I trend del futuro? Sostenibilità e semplificazione

Brand e Retailer devono puntare su trend a lungo termine in grado di attirare i consumatori. I prodotti che stanno continuano a crescere nonostante le difficoltà sono quelli che si caratterizzano per efficienza energetica e sostenibilità, maggiore praticità e flessibilità o caratteristiche premium a prezzi accessibili. Un altro trend di lungo periodo che influenza positivamente il mercato globale è il desiderio di flessibilità dei consumatori, a causa delle postazioni di lavoro più piccole e del fenomeno workation. Inoltre, i modelli di fascia alta continuano a performare meglio della media del mercato, soprattutto nell0Elettronica di consumo. Ad esempio, mentre il mercato TV nel complesso è in calo (-15%), i televisori di fascia alta da oltre 75 pollici crescono del +5% a livello globale.

Metaverso, è vero che è già… finito?

Il Metaverso è stata la novità tecnologica che ha monopolizzato l’attenzione di tutti l’anno scorso. Tuttavia, si è parlato anche di un possibile “flop”, di investimenti diversi da parte di Meta (ex Facebook) e di una tecnologia che sembrava già al capolinea. La domanda principale è: il Metaverso è davvero morto? E se esiste, che cos’è esattamente? Si riferisce a quello “inventato” da Facebook o è qualcosa di completamente diverso? L’Osservatorio Extended Reality & Metaverse della School of Management del Politecnico di Milano ha deciso di fare chiarezza e ha analizzato dieci falsi miti riguardanti il Metaverso.

Cos’è il Metaverso

Prima di tutto, il Metaverso viene definito come un ecosistema immersivo, persistente, interattivo e interoperabile, composto da molteplici mondi virtuali interconnessi in cui gli utenti possono socializzare, lavorare, effettuare transazioni, giocare e creare asset, accedendo anche tramite dispositivi immersivi. È una prossima grande evoluzione dell’interazione online, e attualmente ha già attirato l’interesse di numerose aziende che stanno esplorando le opportunità di business offerte da questo nuovo mondo virtuale. Uno dei primi falsi miti riguarda il fatto che esistano più Metaversi, ma, in realtà, il Metaverso è uno solo, composto da diversi mondi virtuali interoperabili e interconnessi tra di loro, assimilabile al rapporto tra universo e galassie.

Non è stato “inventato” da Meta

Inoltre, va chiarito che il concetto di Metaverso non è stato ideato da Facebook (ora Meta) nel suo rebranding, ma è stato affrontato in vari campi, dalla letteratura alla cinematografia, negli ultimi trent’anni. Meta ha semplicemente riportato in luce il termine per rappresentare una rivoluzione digitale portata dalle tecnologie di Extended Reality. Il Metaverso non è sinonimo di realtà virtuale, come spesso viene confuso. La realtà virtuale è solo una delle tecnologie immersive che costituiscono il Metaverso, insieme alla Realtà Aumentata e alla Realtà Mista. Inoltre, il Metaverso non è accessibile solo tramite un visore, ma può essere raggiunto anche da smartphone e PC. L’hardware cambia solo il livello di immersività dell’utente, ma non ne preclude gli aspetti funzionali.

Tutti gli ambiti di applicazione, anche per il business

Un altro falso mito è che il Metaverso sia solo per il gaming, ma può offrire opportunità in diversi ambiti applicativi, come il socializing, il business, la formazione e molto altro. Il Metaverso non deve essere considerato distante dal mondo reale, poiché le attività svolte possono avere legami con il mondo fisico, creando esperienze ibride tra digitale e reale. Esiste la convinzione che il Metaverso non permetta alle aziende di fare business, ma in realtà, potrebbe rappresentare una possibilità per ampliare la propria offerta di beni e servizi, raggiungere nuovi utenti e svolgere attività collaborative a distanza.

Il vero Metaverso non è ancora nato

Il Metaverso non è sinonimo di Web3, anche se potrebbe farne parte. Web3 rappresenta una nuova versione del web fondata su principi chiave di decentralizzazione e accessibilità. Infine, il Metaverso non è morto, perché il vero Metaverso, con tutte le sue caratteristiche peculiari, non esiste ancora. Al momento, esistono solo mondi virtuali che potrebbero diventare interoperabili in futuro, costituendo così le fondamenta del Metaverso digitale. Nessuno sa con certezza come sarà il Metaverso del futuro e se quello che vediamo oggi sia davvero il preludio di quello che sarà. La ricerca e lo sviluppo di questa tecnologia continuano a evolversi e a cambiare, e il Metaverso potrebbe ancora offrire nuove sorprese nei prossimi anni.